RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

giovedì 11 agosto 2016

LA STANGATA - PORTO VECCHIO: CONTINUA IL BLUFF DELLA URBANIZZAZIONE CON UTILIZZO TURISTICO – SI DILEGUA L’ ACQUIRENTE DELL’ AREA GREENSISAM DI MANESCHI CHE VUOLE GUADAGNARCI DANDO LA COLPA AL COMUNE – DIPIAZZA VUOL FAR CREDERE CHE CI SONO INVESTITORI ARABI MA SI TRATTA SOLO DI SOCIETA' DI CONSULENZA CHE ERANO INTERESSATE ALLA PARCELLA DI “ADVISOR” – IN REALTA’ NESSUN UTILIZZO URBANISTICO E TURISTICO E’ CONVENIENTE E NON CI SONO NE’ PROGETTI CREDIBILI NE’ INVESTITORI, SOLO SOLDI PUBBLICI SPERPERATI PER UNA CHIMERA ELETTORALE –

Il paginone del 10 agosto sul Piccolo è confezionato in modo da far credere che ci sono investitori arabi interessati a Porto Vecchio.

A parte il fatto che gli investimenti arabi e
sauditi a Bruxelles e altrove sono notoriamente  all’ origine del radicamento delle moschee wahabite legate al terrorismo islamista, vediamo come stanno veramente le cose:


1) si è dileguato per evidente antieconomicità  il prospettato acquirente dell’ area data in concessione per 90 anni alla Greensisam di Maneschi che avrebbe dovuto essere la prima a venir realizzata con un progetto cui ha contribuito l’ ineffabile Sgarbi autore del “vincolo architettonico idiota” del  2001, casualmente lo stesso anno della concessione novantennale alla Greensisam.

2) Maneschi cerca di guadagnarci qualcosa dando la colpa al Comune per l’ assenza di un progetto complessivo per Porto Vecchio ma intanto in due anni dalla concessione della licenza edilizia non ha fatto assolutamente niente provocando, ovviamente, la decadenza della licenza stessa.

3) Dipiazza mena il can per l’ aia e continua il bluff urbanistico - turistico del PD tentando di far credere che c’è un progetto organico presentato a fantasmatici emiri arabi interessati.
Ma in realtà si tratta della società di consulenza con sede negli Emirati (la Rmjm Fz Llc di Dubai) che si era proposta assieme al Gabinete de projetacao arquitetonica di San Paolo del Brasile a sostegno della Tecnic consulting engineers di Roma, nella gara per "advisor" (consulente) poi vinta da Ernst&Young. 

Si continua così nell’ equivoco, già alimentato dal PD, di tentare di far credere che costoro, come la vincitrice “Ernst & Young”, siano investitori e non invece solo semplici consulenti e progettisti interessati alla parcella di 180.000 euro messa in palio dal Comune.

4) L’ “Advisor” (consulente) Ernst & Young avrebbe dovuto  consegnare alla fine di luglio la seconda parte dello studio, dopo la penosa "presentazione" preelettorale che spiegava che a Trieste c'è il mare ed era il porto della Mitteleuropa, ma non s' è visto niente di pubblico e non si capisce perché ora il Comune coinvolga società di consulenza precedentemente scartate, e sulla base di uno studio certamente non completo, se non per parare il colpo di Maneschi facendo credere che ci sia qualcosa di concreto, oltre a conoscenze triestine comuni.

5) L’ unica cosa certa in Porto Vecchio sono i soldi pubblici finora spesi che tra Advisor e Trenino superano il mezzo milione e senza alcuna utilità vista l’ antieconomicità di tutta la faccenda della “sdemanializzazione” / privatizzazione / urbanizzazione.

6) Dipiazza insiste nella cretinata di mettere in Porto Vecchio, che ha ancora il Punto Franco nella fascia costiera, il mercato ittico all’ ingrosso: come se nel Punto Franco dell’ aereoporto di Ginevra mettessero il mercato delle trote e dei funghi porcini…

L’ unico utilizzo possibile ed economicamente valido è quello che indichiamo da sempre: insediamenti produttivi di servizi e attività Hi Tech e legate all’ economia del mare con utilizzo dei vantaggi del Punto Franco e di una No Tax Area.

Si abbandonino le fumisterie urbanistiche e paraturistiche VELLEITARIE, ANTISTORICHE, ANTIECONOMICHE E INCONCLUDENTI e si segua la strada concreta dell’ utilizzo produttivo con fiscalità di vantaggio e i frutti arriveranno rapidamente per una città sull’ orlo del tracollo economico e occupazionale.

Sappiamo che sarà dura ammettere che “gli indipendentisti avevano ragione” ma la realtà è questa.





mercoledì 10 agosto 2016

L' ITALIA E I 680.000 MANDATI AL MACELLO


Riprendiamo il bell' intervento pubblicato oggi

L’Italia e i 680mila mandati al macello
di Luciano Santin

Giorni fa, nei notiziari della Rai è andata in onda, in relazione alle celebrazioni per la presa di Gorizia dell’agosto 1916, una dichiarazione resa dal presidente dell’Istituto nazionale per la guardia d'onore alle reali tombe del Pantheon, qui trascritta parola per parola. «Purtroppo spesso l’Italia di oggi si dimentica di quello che è avvenuto: se 680 mila ragazzi italiani sono morti cento anni fa è stato per dare nelle trincee, nel fango e nel sangue un’importanza nello scenario internazionale che l’Italia allora non aveva» Mi chiedo come sia possibile che si possano accreditare ancora visioni del genere. Nel 1915, malgrado i rapporti dei prefetti evidenziassero come la grande maggioranza della popolazione italiana fosse contraria all’intervento, Vittorio Emanuele III decise per la guerra a fianco dell’Intesa, che le aveva promesso possedimenti sino in Grecia e nella penisola anatolica. Fu conseguentemente firmato il patto di Londra, di cui Parlamento e governo vennero tenuti all’oscuro, e attaccata l’Austria, già alleata. I 680 mila giovani caduti, cui andrebbero aggiunti gli invalidi e i civili e reduci morti di “spagnola”, furono, quasi tutti, spinti o costretti ad andare al macello. Non scelsero di morire per dare all’Italia la sua importanza (il suo “posto al sole”, avrebbe poi detto qualcuno, riprendendo e ampliando il concetto).Meno che mai lo fecero quei coscritti della Basilicata che partirono sulle tradotte (come riferì il “Corriere” di Albertini, fervente interventista) convinti di andare a combattere i “Piemontesi”. Credo sia lecito interrogarsi sulla destinazione di risorse pubbliche alla Guardia d’onore alle tombe dei Savoia, istituto creato nel 1932 da Vittorio Emanuele III (quello appunto del Patto di Londra, delle leggi razziali e della fuga sulla “Baionetta”, poi detronizzato e bandito dall’Italia). Quanto è necessario, oggi esprimere «un tributo di riconoscenza per l’Augusta Casa Savoia che portò all’unità e alla grandezza della Patria», o «esaltare, custodire e tramandare le glorie e le tradizioni militari della Patria» (sono gli scopi dichiarati statutariamente)? Un’ultima cosa: in tutte le rievocazioni e celebrazioni che in questi anni si stanno tenendo per ricordare l’“inutile strage”, prevale la chiave retorico-agiografica dell’offertorio: combattenti che immolarono le loro giovani vite, diedero la loro esistenza per un nobile fine. Senza entrare in una valutazione della nobiltà del fine, sarebbe il caso di restituire ai fatti parole meno glorificanti : i soldati vengono mandati in guerra per ammazzare degli uomini, non per farsi ammazzare. Ma l’importante è l’utile nel bilancio del sangue: che ci siano cioè più vittime tra gli altri, o che il danno inferto al corpo sociale del nemico sia superiore. Forse se invece di dire “questi ragazzi che si fecero olocausto...”, o qualcosa del genere, si provasse a usare una frase più piana e vera, sostanzialmente «questi ragazzi che furono mandati ad ammazzare, e furono anch’essi, in tanti, ammazzati», le commemorazioni acquisterebbero una maggiore aderenza alla realtà.

domenica 7 agosto 2016

IL PICCOLO TACCIA DI CAMPANILISMO CHI DIFENDE IL "PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE" E TACE SUI CAMPANILISTI VERI DEL PD CHE SPINGONO PER IL PORTO OFF-SHORE DI VENEZIA A SPESE DEI CONTRIBUENTI.


Le nostre meritate vacanze sono turbate dalla vista irritante dell' articolo di fondo di Morelli, araldo dell' estabilishment regionale, sul Piccolo odierno.
Egli, dall' alto di una visone strategica al massimo regionale e di una regione periferica di un stato scassato come l' Italia, pontifica sul presunto campanilismo di chi difende le prerogative uniche del Porto Franco INTERNAZIONALE di Trieste minacciate da una unificazione con le paludi di Monfalcone e Nogaro.

Chiariamo per l' ennesima volta che il Porto Franco Internazionale di Trieste ha caratteristiche uniche che lo rendono TERRITORIO EXTRADOGANALE anche rispetto alla UE.
Questo grazie al Trattato di Pace del 1947 e all' allegato VIII che ne specificano inequivocabilmente la natura autonoma, precisamente definita geograficamente nell' ambito del TLT del 1947 di cui Monfalcone e la "regione inventata" Friuli-VG NON facevano parte.

Se non ci fosse il pregiudizio di voler considerare il Porto di Trieste come un qualsiasi porto italiano sarebbe semplice capire che OGNI MODIFICA  GIURIDICA O GEOGRAFICA DELL' ENTE "PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE" ESPORREBBE AUTOMATICAMENTE ALLA POSSIBILITA' DI CONTESTAZIONE DELLE SUE SPECIALI PREROGATIVE DI EXTRATERRITORIALITA' DOGANALE EXTRA UE.


In altre parole se l' Italia ne modifica la natura e localizzazione, rendendolo tutt' uno con due porti impantanati e bisognosi di continui dragaggi come Monfalcone e Nogaro, arrivando al punto di ipotizzare il trasferimento in quelle paludi di un Punto Franco, sarebbe automatica da parte della UE la contestazione riguardo l' extradoganalità di tutto il complesso.

Ovvero la fine del Porto Franco Internazionale.

Il tutto per un progetto bocciato dai fatti e dai tecnici come il PORTO REGIONE targato Maresca docente a Udine e consulente di Serracchiani e Governo, come lo fu il defunto Superporto Trieste-Monfalcone di Unicredit.

Trieste non sarà mai un miserabile Porto Regione di una regione periferica italiana: ma resterà un Porto Franco INTERNAZIONALE.


Il campanilismo è semmai nella testa di chi vuol ridurre le potenzialità portuali INTERNAZIONALI di Trieste coinvolgendolo nelle paludi della bassa friulana e nella politica ed economia, fino a poco fa agricola, della regione a guida notoriamente udinese.


Insomma cosa c'è di campanilistico in una città che non si sente il porto di una Regione come il Friuli Venezia Giulia ma quantomeno della Mitteleuropa? E che guarda a Vienna più che a Udine?


Intanto altri CAMPANILISTI VERI, i deputati del PD veneto, spingono per la realizzazione di quella assurdità tecnica ed economica a spese dei contribuenti che e' il porto off-shore di Venezia che vogliono portare al CIPE entro agosto, come testimonia l' articolo della Nuova Venezia, giornale gemello del Piccolo che su questo tace... 

Vogliamo parlare seriamente di campanilismo (quello vero) ?


Questo il sermone domenicale del Piccolo:

Trieste,Monfalcone e il porto unico serve un salto culturale di mentalità 
di ROBERTO MORELLI 
Se Trieste saluta con entusiasmo la nascita dell’Autorità portuale unica con Monfalcone, che di fatto amplia la gestione e gli orizzonti dello scalo, perché dovrebbe preoccuparsi dell’ipotesi - solo un’ipotesi, al momento - che proprio a Monfalcone vengano spostati i traghetti per la Grecia? C’è una curiosa ma rivelatrice contraddizione nel dibattito che sta accompagnando la felice evoluzione in atto nel porto: il nuovo varco ferroviario, che aumenta il potenziale di trasporto delle merci, e soprattutto il via libera agli investimenti nel Molo Settimo, che incrementeranno grandemente le capacità di traffico dei container; rendendo necessario, tuttavia, spostare l’approdo delle navi passeggeri per la Grecia, ora sullo stesso molo. Di qui l’ipotesi formulata dal commissario D’Agostino, tra le altre possibili, di una loro collocazione a Monfalcone. Apriti cielo. Monfalcone? «Portare via» i traghetti da Trieste? Non sia mai. Preoccupazione curiosa, per l’appunto. Perché s’incentra su uno scenario che è quanto la città auspicava, salvo farsi pervadere da un’angoscia sottile quando lo scenario si realizza. La meritoria - ancorché timida - riforma dei porti italiani, nello sforbiciare la pletora di Authority (troppe, troppo piccole, troppo costose), ha dato vita a un sistema portuale integrato nel Friuli Venezia Giulia; a cui speriamo la Regione aggiunga ora lo scalo di Porto Nogaro. Se volessimo vederla con una becera e distorta ottica di campanile, diremmo che il porto di Trieste si è allargato. Ma è l’opposto della realtà, che vede invece un sistema di scali più ampio, coeso e competitivo: vuol dire competitivo con Capodistria, lo diciamo con dispiacere; poiché la vera idea strategica, rivelatasi impraticabile per la riluttanza da parte della Slovenia, era quella di dar vita a un grande e moderno porto europeo comune. Ma non è accaduto, né accadrà più. In questo contesto s’inserisce la situazione del Molo Settimo. Che ha enormi spazi di crescita, ma non finché le navi passeggeri approdano lì. Dove, per converso, le medesime navi stanno male, con una collocazione che fino ad alcuni anni fa era semplicemente indegna - non un bar, un bagno, una sala d’aspetto - e oggi è un po’ migliorata restando inadeguata. Va da sé che le esigenze del trasporto merci e rispettivamente passeggeri sono tutt’altro. Dunque, dove portare i traghetti per la Grecia? In astratto la soluzione ideale sarebbe nel “nuovo” Porto vecchio, ma ci vorrà una vita. In concreto o vanno al Molo Quarto, o a Monfalcone. Vi sono pro e contro per entrambe le soluzioni, ma è proprio quel che qui sosteniamo: i pro e contro vanno valutati in quanto tali (pescaggio, manovre d’attracco, viabilità, accessibilità e soprattutto esigenze dei passeggeri), e non rispetto a una presunta, inesistente questione territoriale. Trieste e Monfalcone sono diventate porto unico, e ben venga l’eventualità di specializzare le rispettive aree su quel che possono fare meglio. Ne crescerà il traffico complessivo, e con esso i posti di lavoro: più container, più navi passeggeri, più traffico diffuso. E non sarà un grande problema per i cittadini monfalconesi venire a lavorare a Trieste, né per i triestini fare lo stesso a Monfalcone. In effetti crediamo che il nervo scoperto sia la spia di una questione più importante, e di un salto culturale tutto da fare. La vera domanda è: cos’è Monfalcone (o Ronchi, o Gorizia) per Trieste? È davvero un “altrove”, o non piuttosto parte di un territorio comune e una compenetrazione naturale? Le Province sono state abolite come enti e circoscrizioni amministrative, e dovrebbero sparire pure dalle nostre teste: erano un confine formale, ora è rimasta solo la barriera psicologica. Trieste non può credere di potersi sviluppare - né di aiutare lo sviluppo della regione, che ha bisogno di un porto vero - mantenendo la rassicurante prigionìa concettuale della città-stato bastevole a se stessa, che vede come “altro” tutto ciò che sta fuori da confini oggi pure scomparsi. Estremizzando fino all’assurdo, dovremmo preoccuparci anche del fatto che il punto franco venga spostato a Prosecco? O Prosecco è “più” Trieste di Monfalcone, separata invece dall’abisso di 15 chilometri di distanza? Suvvia. Fra i tanti motivi d’incertezza profonda sul futuro della città, possiamo rallegrarci per un porto che sta crescendo con la guida di un manager dalle idee chiare. Uscire dai nostri confini e affrontare le sfide a testa alta, è quel che oggi dobbiamo fare. ©