RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 26 agosto 2016

TERREMOTI E LA "FAGLIA DI TRIESTE": LO STUDIO COMPLETO - NECESSARIA UNA RIVALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA' SISMICA A TRIESTE - NIENTE IMPIANTI PERICOLOSI COME IL RIGASSIFICATORE E PREVENTIVO ADEGUAMENTO ANTISISMICO DEGLI EDIFICI: COME IN FRIULI


Consapevoli che l' informazione corretta è la prima cosa da fare, soprattutto in presenza di progetti delinquenziali come quello di mettere un Rigassificatore nel Porto di Trieste (di cui prosegue l' iter autorizzativo al Ministero MISE), offriamo ai nostri lettori lo studio geologico sulla FAGLIA DI TRIESTE E SULLA SISMICITA' DEL NOSTRO GOLFO. 

CLICCANDO QUI si scarica l' articolo pubblicato alla fine del 2011 sulla rivista TIGOR della nostra università.

CLICCANDO QUI LO STUDIO GEOLOGICO COMPLETO IN INGLESE

Ecco un paio di passi:

SOTTOVALUTAZIONE DEL RISCHIO SISMICO E IDROGEOLOGICO:
"Poiché non erano noti gli elementi geologici presenti nel golfo, e tantomeno la distribuzione temporale della loro attività, si considerava che nel golfo non ci fossero strutture attive che potessero dare origine a terremoti, e di conseguenza la pericolosità sismica era considerata bassa o pressoché nulla.
Dall’attività di ricerca eseguita nell’ultimo decennio sono emersi alcuni aspetti geologici che potrebbero concorrere ad una rivalutazione dei rischi naturali, in particolare del rischio sismico nel golfo e aree limitrofe, in particolare quelle orientali. Analogamente altri elementi sono emersi a riguardo del rischio idrogeologico, in particolare la subsidenza e l’ingressione marina nelle zone costiere della pianura Friulana."


RIVALUTARE LA PERICOLOSITA' SISMICA:
"Infatti, l’area del Golfo di Trieste e la relativa costa orientale, mancando informazioni geologiche adeguate, e avendo a disposizione solo le registrazioni strumentali e i dati storici, veniva considerata con una sismicità non significativa, mentre i risultati di queste indagini, evidenziando la presenza di faglie con attività recente, suggeriscono una rivalutazione della pericolosità sismica."

EVENTI SISMICI A BASSA INTENSITA' RILEVATI IN RELAZIONE ALLA FAGLIA DI TRIESTE, MALGRADO L' INADEGUATEZZA DEGLI STRUMENTI:
"Le registrazioni strumentali, in particolare quelle della rete sismometrica del Friuli Venezia Giulia dell’OGS operativa dal 1977, evidenziano la presenza di eventi sismici di bassa intensità. Bisogna considerare che la rete sismometrica è stata costruita per monitorare le strutture sismogenetiche note della zona alpina e prealpina, mentre il Golfo di Trieste, finora considerato con attività non significativamente importante non ha una rete adeguata. Nonostante ciò, la sismicità rilevata dalla rete negli ultimi decenni, anche se modesta, è congruente con quanto evidenziato dall’indagine geologica e geofisica."


CLICCANDO QUI INVECE UN ARTICOLO COI RIFERIMENTI STORICI AL TERREMOTO DEL 1511 CHE SECONDO DIVERSI STORICI, HA DISTRUTTO TRIESTE.
 Lo storico triestino Attilio Tamaro conferma la data del 26 marzo 1511 e afferma che vi fu un terremoto con maremoto e che la gente si rifugiava sul colle di San Giusto. Crollò quanto delle mura e delle torri non era già crollato fra il 1469 e l’ assedio veneziano del 1508. Il Tamaro parla di 6.000 morti sui 7.000 abitanti che allora contava Trieste !

Nessuno adesso può più dire che non se ne sapeva nulla...

QUINDI: NIENTE IMPIANTI PERICOLOSI E ADEGUAMENTO ANTISISMICO PER GLI EDIFICI, COSI' COME SI E' FATTO, CON SOLDI PUBBLICI, IN FRIULI.

Un intervento pubblico di messa in sicurezza del territorio e degli edifici, PRIMA DEI DANNI, oltre ad essere doveroso, è economicamente conveniente e molto più utile, anche come volano economico, di "grandi opere" elettoralistiche.
Fermare per sempre l’industria delle catastrofi, che dietro il paravento del costo troppo alto per la prevenzione approfitta per mantenere le cose come stanno e lucrare nella ricostruzione.

A proposito... il Magazzino 26 e la Centrale Idrodinamica di Porto Vecchio, che sono stati restaurati a caro prezzo, sono antisismici ?

QUELLI CHE: ODIANO I CANI PERCHE' SONO SPORCHI, SPORCANO LA STRADA E FANNO BAU.




TERREMOTI: ANCHE TRIESTE HA LA SUA FAGLIA STUDIATA NEL 2012 - RIVEDERE IL RISCHIO SISMICO SIA PER IL RIGASSIFICATORE CHE PER L' ADEGUAMENTO DEGLI EDIFICI - LA MESSA IN SICUREZZA DEGLI EDIFICI PUO' ESSERE UN FORTE SOSTEGNO ALLA RIPRESA ECONOMICA MA SOLO CON FORTI STANZIAMENTI PUBBLICI IMPEDITI DALL' AUSTERITY E DAL "PATTO DI STABILITA" - GLI AMMINISTRATORI STANZINO I FONDI PER LA MESSA IN SICUREZZA A TRIESTE -



Sulla stampa internazionale si parla molto del fatto che l' Italia non ha mai attuato una seria politica di prevenzione del rischio sismico e di adeguamento degli edifici (clicca QUI) tanto che terremoti di media entità producono danni ingenti e vittime che altrove non ci sarebbero.

E' significativo che i danni maggiori non li subiscano gli edifici antichi, che utilizzano tecniche costruttive collaudate da secoli e con travi di legno legate alla muratura, bensì quelli del '900, scuole e ospedali recenti compresi.
E' significativo il caso di Norcia che non ha subito danni pur in presenza di scosse analoghe a quelle che hanno devastato Amatrice, solo perchè era stata applicata seriamente una politica di prevenzione antisismica.

E' chiaro a tutti come un' attività di edilizia diffusa volta a mettere in sicurezza antisismica gli edifici sarebbe, oltre ad un doveroso intervento di tutela dell' incolumità pubblica e di prevenzione di danni maggiori alla comunità, anche un potente e duraturo volano di ripresa economica.

Tuttavia questo intervento non potrebbe basarsi su risorse private, ormai depauperate da 8 anni di crisi, blocco del credito bancario e crollo del valore degli immobili, bensì necessita di ingenti stanziamenti pubblici.

Questo si scontra con la folle politica di austerity, con l' inefficenza e la corruzione dell' apparato statale e con il "patto di stabilità". 
Per cui il problema si sposta anche a livello continentale europeo in cui lo spirito di solidarietà non sembra abbondare malgrado la retorica dell' incontro di Ventotene.

Trieste non è fuori da tutto questo: nel 2012 l' Osservatorio Geofisico ha pubblicato gli studi sulla FAGLIA DEL GOLFO DI TRIESTE che scorre  prossima alla riva da Sistiana a Porto Vecchio in prossimità di altre faglie (*nota) sul Carso (clicca QUI)  il che rende necessario ricalcolare il rischio sismico sia riguardo impianti pericolosi come il Rigassificatore sia riguardo gli edifici.
Trieste inoltre è limitrofa al Friuli e alle Alpi Giulie zone notoriamente ad elevato rischio sismico come vediamo dalla cartina sopra.


Pertanto sollecitiamo gli Amministratori ad un intervento per la prevenzione del rischio sismico con adeguati stanziamenti pubblici che oltre a tutelare doverosamente la sicurezza ed il patrimonio del Territorio stimolerebbero l' attività edilizia con beneficio generale per l' economia.


Volevano amministrare Trieste a tutti i costi? Bene, questo è un costo che devono affrontare.

Riportiamo sotto un articolo sulla FAGLIA DEL GOLFO DI TRIESTE del marzo del 2012 e uno di Repubblica di oggi che ben esemplifica i commenti internazionali sui terremoti italiani.

(* nota): le FAGLIE sono sistemi geologici che generano terremoti.
L' articolo successivo con lo studio geologico completo lo trovate cliccando QUI.


Ogs, scoperta la faglia del golfo di Trieste

Racconta come si è sollevato il Carso decine di milioni di anni fa. Il rischio sismico

I ricercatori dell’Osservatorio geofisico sperimentale hanno concluso lo studio e l’elaborazione dei dati sulla cosiddetta ‘Faglia del Golfo di Trieste’ aggiungendo un tassello alle conoscenze dell’evoluzione geologica dell’intera area. A completare lo studio durato sette anni e’ stata Martina Busetti, geofisica marina di Ogs, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale che, assieme ai colleghi Valentina Volpi, Fabrizio Zgur, Roberto Romeo e Riccardo Ramella direttore del dipartimento Rima, ha effettuato una serie di acquisizioni di dati nel Golfo di Trieste, anche in convenzione con la Regione Friuli Venezia Giulia. Il Golfo di Trieste era gia’ stato studiato negli anni cinquanta e sessanta, nel corso di rilievi compiuti sempre dall’Istituto, che allora si chiamava Osservatorio Geofisico Sperimentale, durante la fase pionieristica delle acquisizioni marine. Ma le strumentazioni e le tecnologie dell’epoca non consentivano di ottenere informazioni precise. ”La prima acquisizione recente – spiega Martina Busetti – e’ del 2005, quando a bordo della nave Ogs Explora abbiamo studiato questa parte di Golfo utilizzando la sismica a riflessione multicanale”. La tecnica e’ simile alle ecografie mediche: si basa sull’invio di onde acustiche molto intense – emesse da cannoni ad aria compressa – che si propagano attraverso l’acqua e penetrano nei sedimenti sotto il fondale marino; quando incontra variazioni strutturali (petrofisiche) nelle rocce e nei sedimenti, una parte delle onde viene riflessa, torna in superficie ed e’ registrata da sensori collocati in un cavo sismico trainato dalla nave a pochi metri dalla superficie dell’acqua. Alla prima acquisizione e’ seguito un secondo ciclo di indagini (2009), che hanno permesso di rivedere e aggiornare la geologia profonda del Golfo. Sono stati cosi’ acquisiti 500 km di cosiddetti ”profili”, cioe’ immagini di sezioni verticali del fondale, lunghe da 7 a 60 km, con una profondita’ di indagine di diversi km. Com’e’ fatta, dunque, la Faglia di Trieste? ”Questa struttura si trova in corrispondenza della costa triestina e appartiene alla faglia dinarica” racconta Busetti. ”La faglia e’ una superficie di discontinuita’ lungo la quale avviene uno scorrimento tra due blocchi. Se lo scorrimento e’ repentino si genera un terremoto. Il blocco superiore della faglia di Trieste rappresenta la parte emersa del Carso triestino (gia’ nota da tempo). Il blocco inferiore si trova nel Golfo, studiato dal 2005 in poi. La faglia si sviluppa per diversi km in profondita’ e i calcari, che in Carso giacciono a poche centinaia di metri sul livello del mare, qui si trovano a circa 1200 mt di profondita’, a circa 3 km dalla costa”. Che cosa significa questa differenza? ”Significa – riprende Busetti – che il Carso in tempi remoti ha subito una spinta in avanti e verso l’alto, sollevandosi. Inoltre, dopo la fase principale di formazione della catena dinarica nell’area del Carso, a livello del mare ci sono prove del fatto che tale attivita’ e’ proseguita, protraendosi fino a tempi recenti”. La presenza di questa faglia trasforma l’area del Golfo di Trieste in un’area a maggior rischio sismico? Dice Busetti: ”Le faglie possono generare sismi. In quest’area, pero’, non esiste una memoria storica di terremoti. Dunque non e’ il caso di temere eventi avversi imminenti. Certo, non sappiamo come si e’ comportata la faglia 10 mila o un milione di anni fa, ma dalle prove raccolte non si puo’ escludere che fosse attiva. Una parziale revisione della zona e del rischio sismico dovrebbe pero’ essere fatta, senza alcun allarmismo, ma come parte della normale revisione che riguarda gli studi sulla Terra”.
Per approfondire http://www.meteoweb.eu/2012/02/ecco-la-prima-mappa-della-faglia-del-golfo-di-trieste/121934/#dCZCrlD8jsWIEcbA.99

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Terremoti, il 60% dei vecchi edifici a rischio. E l'Italia se ne dimentica

Non c'è un vero piano prevenzione: in stato pessimo o mediocre 2,1 milioni di abitazioni. Una emergenza segnalata anche dal Mit e in primo piano sui giornali stranieri. E il sindaco dell'Aquila Cialente segnala: "Solo su questo non è obbligatoria una scheda tecnica dei frabbricati. Incredibile"


L’Italia nonostante i tanti terremoti che l’hanno devastata non ha mai messo in piedi un grande piano sulla prevenzione sismica e la scossa che ha colpito il Centro Italia in altre realtà non avrebbe provocato gli stessi danni. Lo dicono senza mezzi termini i giornali stranieri, che puntano sulle norme edilizie troppo permissive nel Belpaese, e gli esperti del Mit di Boston che sostengono in maniera netta come “la scossa del 24 agosto non era poi così elevata”. E a dar manforte alle critiche che arrivano dall’estero arrivano i numeri impietosi sulle abitazioni realizzate prima degli anni Ottanta e mai messe in sicurezza: il 60 per cento degli edifici in Italia è stato realizzato prima del 1971 e di questi 2,1 milioni sono in stato “pessimo o mediocre”, come ha rilevato l’Ance. A fronte di questa disastrosa situazione, lo Stato dagli anni Sessanta a oggi ha investito 150 miliardi di euro dopo i terremoti per ricostruire quanto crollato, ma in prevenzione ha stanziato appena un miliardo e solo dopo i fatti del 2009 che hanno devastato l’Aquila. E di quest’ultima cifra sono stati realmente spesi poche decine di milioni in 250 edifici pubblici. Poi il nulla.

"Sono passati anni dall'Aquila e io trovo incredibile che per una scossa del sesto grado che in altri paesi non provoca danni succeda quanto è successo qui", è la riflessione tra lo sconforto e la rabbia di Massimo Cialente. "Le persone che sono morte all'Aquila erano convinte di vivere in una zona super sicura. Oggi non ci preoccupiamo della qualità quando compriamo una casa, e non sappiamo veramente dove abitiamo. Serve classificare gli edifici ed avere un piano pluriennale di controlli", insiste. "E tra tante schede tecniche giustamente obbligatorie, quella che manca è proprio quella sismica. Quello che succede è che poi i sindaci si trovano da soli con sciami sismici che durano ore e ore e non puoi certo evacuare un'intera città ogni volta",

All’indomani del terremoto che ha colpito il Centro Italia i giornali stranieri, inglesi soprattutto, puntano il dito contro il nostro Paese. Il Guardian polemizza sulle norme costruttive italiane, che sarebbero troppo permissive. Di opinione diversa il quotidiano I (ex Independent), che sottolinea i problemi geologici e prova a rassicurare i turisti britannici che continuano a venire in Italia. Mentre secondo il Times il nostro Paese “comincia solo ora” ad affrontare il problema delle case troppo vecchie e incapaci di sopportare le scosse. Ma è dal Mit di Boston che arrivano bordate contro l’Italia in fatto di prevenzione sismica: “Il Paese ha una vasta esperienza di terremoti, ma continua a soffrire più di altre nazioni sviluppate ogni volta che la terra trema”, scrive sulla rivista del Mit Michael Reilly. Nell’articolo Reilly sottolinea come la norme antisismiche arrivate negli anni Settanta in alcuni casi non siano state rispettate e che comunque l’Italia sconta un grave ritardo in tema di prevenzione sismica.
In Italia oltre la metà degli edifici è realizzata prima degli anni Settanta e oltre 2 milioni di edifici sono in stato “mediocre o pessimo” secondo Ance e Istat. Nelle aree a elevato rischio sismico ricadono poi
quasi 5 milioni di edifici che andrebbero in grandissima parte, secondo i tecnici per almeno il 70 per cento, messi in sicurezza. Ma i pochi spiccioli stanziati dallo Stato soltanto dopo il 2009 non bastano e in ogni caso sono stati spesi per pochissimi edifici pubblici.  
 



giovedì 25 agosto 2016

IL MINISTRO DEI TRASPORTI DELRIO PREME SUL CIPE PER L' APPROVAZIONE DELL' OFF-SHORE DI VENEZIA: IL PROGETTO DI TERMINAL PORTUALE PENSATO PER TOGLIERE I TRAFFICI ORIENTE-OCCIDENTE A TRIESTE SOSTENUTO DAL SINDACO DI VENEZIA AMICO DI DIPIAZZA - MENO CHIACCHIERE SUL BURCHINI PIU' DIFESA DEI TRIESTINI -

CONFERMATO L' INTERESSE NAZIONALE ITALIANO A SVILUPPARE IL PORTO DI VENEZIA A SCAPITO DI QUELLO DI TRIESTE.
Come volevasi dimostrare: il Governo Italiano appoggia il progetto e sollecita il CIPE ad approvare il porto off-shore di Venezia pensato apposta per intercettare i traffici della "Nuova Via della Seta" tra Oriente ed Europa altrimenti destinati naturalmente al Porto Franco Internazionale di Trieste.
Un progetto elefantiaco dal costo di oltre tre miliardi quando per un nuovo Terminal a Trieste, che ha già in fondali, basterebbe meno di un decimo: ma la mangiatoia  dei partiti italiani vuole così, come per il MOSE.
E l' interesse nazionale italiano è sempre quello di NON puntare e sviluppare il Porto Franco Internazionale di Trieste come si è verificato da 100 anni a questa parte.


Dipiazza ha costruito la sua campagna elettorale sull' amicizia e la collaborazione con Brugnaro,sindaco di Venezia e acceso sostenitore dell' off-shore veneziano.
La solita convergenza di Centro Destra e Centro Sinistra sulla questione di Trieste.


Quando l' economia va male, e si tirano bidoni ai cittadini, tentano sempre di parlare d' altro e di indirizzare l' attenzione su questioni irrilevanti e prive di significato economico: quando l' opinione pubblica finirà di scannarsi sulla questione se una donna ha il diritto di fare il bagno con un maglione da sci o in quale sala effettuare le unioni civili si renderà conto che intanto c' era chi pensava al sodo, ma sarà troppo tardi.


Riportiamo per intero il paginone della Nuova Venezia (clicca QUI) il giornale gemello del Piccolo ora diretto dal suo ex-direttore Possamai: naturalmente il Piccolo filogovernativo e filo PD si guarda bene dal riportare la notizia.


Venezia. Delrio al Cipe: «Avanti con l’off-shore»

Il ministro scrive al Comitato per chiedere l’approvazione del progetto preliminare e l’autorizzazione ad avviare i lavori
VENEZIA. Il progetto del porto off-shore fa un passo avanti. Forse decisivo. Il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha infatti scritto al Cipe chiedendo l’approvazione del progetto preliminare Voops (Venice off-shore on-shore port system) e l’autorizzazione ad avviare i lavori del primo lotto (fase 1) e la progettazione definitiva. Un atto che il presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa aspettava da mesi. «Ringrazio il ministro per aver tenuto fede a quanto aveva promesso», commenta Costa, prossimo alla scadenza da presidente, «questo ci consente finalmente di andare avanti con la ricerca dei finanziamenti privati». Soldi che dovrebbero arrivare dalla Cina, per coprire la parte privata dell’investimento di circa 2 miliardi di euro, in parte finanziato dallo Stato con 948 milioni per le difese a mare e il porto petroli.
La lettera, partita dalla direzione generale del ministero delle Infrastrutture, è datata 8 agosto. Il ministero propone al suo comitato che distribuisce i finanziamenti per le opere pubbliche «l’approvazione in linea tecnica del progetto preliminare “Hub portuale di Venezia, piattaforma d’Altura al Porto di Venezia e Terminal container Montesyndial” con le prescrizioni e le raccomandazioni delle amministrazioni competenti, degli enti gestori delle interferenze e del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, anche ai fini della attestazione della compatibilità ambientale, della localizzazione urbanistica e della apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e l’autorizzazione all’avvio dei lavori della Fase 1 (primo lotto) e della progettazione definitiva fase 1 (lotto 2)».
Adesso toccherà al Cipe mandare avanti la pratica. Ma sembra alquanto improbabile che il comitato interministeriale possa ignorare l’invito del suo ministero a procedere.
Un atto che arriva dopo qualche mese di silenzio. Opinioni contrastanti anche all’interno del centrosinistra sull’opportunità di avviare la grande struttura al largo di Chioggia che dovrebbe ospitare le navi portacontainer transoceaniche di ultima generazione. «Ma è l’unica occasione per rilanciare la portualità italiana», ripete Costa, «opera in qualche modo risarcitoria del porto veneziano che altrimenti si troverebbe penalizzato con le opere del Mose». Per questo, proprio quando Costa era sindaco nei primi anni Duemila, si era progettata su richiesta del Comune la conca di navigazione a Malamocco. Centinaia di milioni di euro di spesa, ma la struttura si è rivelata presto inadeguata. Troppo piccola per le navi moderne, già inutilizzabile. «Portando i container al largo si intercetta il traffico del futuro», insiste l’Autorità portuale, «e questo non va a danno di nessuno, né di Trieste né del Tirreno».
Un grande progetto nato anche per mettere in pratica, dopo più di 40 anni, i dettami della Legge Speciale che prescriveva allora di allontanare i traffici petroliferi dalla laguna.
L’off-shore al largo consentirebbe di tenere fuori dalla laguna le petroliere e anche le grandi portacontainer. Le merci sarebbero caricate e trasportate a Marghera, nella nuova area logistica ricavata nell’ex Montesyndial. «Daremo lavoro a 1600 persone», promette Costa. Chi pagherà i costi della nuova grande opera? 948 milioni sarebbero a carico dello Stato, un miliardo e trecento milioni dei privati. Compagnie di armatori cinesi che Costa sostiene di avere già disponibili. Qualche mese fa li ha presentati al sindaco Luigi Brugnaro, in luglio a un convegno sulle Vie della Seta organizzato dalla fondazione di Romano Prodi e Enrico Letta. Un progetto su cui Costa punta molto. Che adesso ha fatto un importante passo avanti. Già nella prossima seduta il Cipe potrebbe esprimersi come richiesto dal ministro sul progetto Voops e sbloccare autorizzazioni e finanziamenti.

lunedì 22 agosto 2016

IPOCRITI NAZIONALISTI CELEBRANO IL MANIFESTO DI VENTOTENE NATO PER L' ABOLIZIONE DEGLI STATI NAZIONALI - UNO STATUTO INTERNAZIONALE PER TRIESTE ED IL SUO "PORTO FRANCO INTERNAZIONALE", ALTRO CHE "PARTITO DELLA NAZIONE" DI RENZI -


In questi giorni, a causa della Riunione della Merkel, Hollande e Renzi, si fa un gran parlare del "Manifesto di Ventotene" per uno Stato Federale Europeo che superi e abolisca gli Stati Nazionali, redatto al Confino di Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.

Ricordiamo che Eugenio Colorni nel 1934 ottenne la cattedra di filosofia e pedagogia all'istituto magistrale Carducci di Trieste; qui conobbe e frequentò, fra gli altri, Umberto Saba (ritratto poi in Un poeta) ed anche Pier Antonio Quarantotti GambiniBruno Pincherle ed Eugenio Curiel, ed è qui, nel Porto della Mitteleuropa, che ha respirato l' aria internazionale che si ritrova nello storico Manifesto.
L'8 settembre 1938, all'inizio della campagna razziale, fu arrestato a Trieste in quanto ebreo e antifascista militante: nell'ottobre successivo vennero pubblicati contro di lui su Il Piccolo di Trieste alcuni articoli di particolare livore antisemita.


Ma cosa è rimasto in questa Unione Europea dello spirito di Ventotene ?


Proponiamo la lettura integrale del Manifesto di Ventotene cliccando QUI  ed invitiamo i nostri lettori a confrontarlo con la situazione attuale della UE.
La stessa riunione di oggi  è solo di tre capi di Governi Nazionali (Germania, Francia e Italia) e non di un organismo federale europeo.


C'è uno stato federale europeo ? NO
C'è una Costituzione federale Europea? NO
C'è un' unica fiscalità europea? NO

C'è un unico welfare europeo (pensioni, sanità ecc.)? NO
C' è un esercito federale europeo? NO
C' è un' unica politica estera e riguardo le migrazioni? NO

Quello che c'è è solo una tecnocrazia non eletta ed una politica economica a ferrea guida germanica con una moneta unica per economie diverse creatrice di squilibri che stanno approfondendo la crisi economica che perdura da 8 anni.


Invece di costruire un' unione politica e reale partendo dalle fondamenta hanno preferito cominciare dal "tetto" con una moneta unica, anche se insostenibile per realtà economiche tanto diverse, per facilitare la circolazione dei capitali finanziari e l' attività delle banche, creando forti paesi creditori e una periferia sempre più debole e indebitata come notoriamente avviene sempre in unioni monetarie fra economie assai disomogenee.

E' il risultato del predominio delle èlite finaziarie sulla struttura della UE ed il predominio di teorie economiche neoliberiste ed ordoliberiste che stravolgono il senso e gli scopi del Manifesto di Ventotene che era nato con l' esplicito intento di combattere gli Stati Nazionali ed i Nazionalismi che hanno insanguinato il '900 e le nostre terre in particolare e di garantire giustizia sociale e benessere.

Ed anche l' esito dell' egemonia economica e politica dello Stato Nazione Germanico rafforzatosi con l' unificazione degli anni '90.

Chi si oppone al predominio pernicioso degli Stati Nazione più dell' indipendentismo triestino che rivendica un ruolo ed un uno statuto internazionale per Trieste e il suo Porto Franco Internazionale?

Gli avversari dell' indipendentismo triestino sia di destra che di sinistra vogliono imprigionare una città e un porto franco internazionali all' interno dello Stato Nazione Italiano.

Sono solo dei nazionalisti riverniciati che si appellano retoricamente ad un' Europa federale che non esiste e che non vogliono nemmeno.
Trieste è da sempre una città europea ed il porto naturale della Mitteleuropa ed ha bisogno per sopravvivere di essere affrancata dal dominio di uno Stato Nazione fatiscente e antistorico come quello italiano ritrovando la sua funzione di città e porto liberi e internazionali al servizio di un vasto entroterra plurinazionale.

Non a caso lo stesso PD di Renzi ormai si pone apertamente come "Partito della Nazione" ed è l' alfiere di una politica economica distruttiva che ha gettato da ormai 8 anni in una crisi senza precedenti soprattutto i ceti più deboli.

In un tripudio di tricolori, "orgoglio nazionale" ed esibizione di portaerei costoro vogliono darci lezioni di internazionalismo ed hanno pure il coraggio di appellarsi allo spirito di Ventotene quando, al massimo, avviano trattative, col cappello in mano, tra Stati Nazionali: come nell' incontro a tre di oggi sulla portaerei che di fatto sancisce l' assenza di un' Europa Federale visto che esclude tutti gli altri paesi.


Pensiamo di essere più in sintonia 
con il pensiero dei confinati di Ventotene noi che vogliamo una Trieste e un Porto Franco Internazionali piuttosto che questi "sepolcri imbiancati" e nazionalisti travestiti.