RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

sabato 29 ottobre 2016

NEGOZI SEMPRE APERTI: UN REGALO ALLA GRANDE DISTRIBUZIONE, UN COLPO AL COMMERCIO INDIPENDENTE E UNA SPINTA ALLA DESERTIFICAZIONE DEL CENTRO STORICO - PROTESTE DEI LAVORATORI DEL COMMERCIO



Sotto la bella parola "CITTA' TURISTICA" si nasconde una realtà ben diversa.
In realtà si tratta di un regalo alla Grande Distribuzione Organizzata, quella che ha la sede fiscale altrove  anche in Lussemburgo- ed utilizza lavoro precario a termine, che così può tenere aperto senza limiti stroncando le piccole realtà commerciali, spesso a gestione famigliare, che non ce la fanno ad essere aperte 24 ore per 365 giorni.

I  paesi limitrofi e civili come Austria e Germania, invece non consentono aperture illimitate e per permettere anche ai lavoratori del commercio di avere una vita normale obbligano a chiusure non solo la domenica ma anche al sabato e la sera. Ed i consumatori non sono morti.
Questo perchè ci tengono ad avere una rete diffusa di negozi che animano i centri di città e paesi, mentre qui si punta alla desertificazione dei Centri Storici e ai grandi centri commerciali periferici.
Trieste infatti non è una piccola località turistica come Grado e Lignano, con una attività stagionale, ma una città e l' effetto di desertificazione del Centro è già evidente adesso con i numerosi negozi chiusi.
Immaginarsi cosa potrebbe succedere se Porto Vecchio diventasse un enorme centro commercuiale come vogliono i politicanti.

venerdì 28 ottobre 2016

ZONA FRANCA GORIZIA: IL TESTO - TRIESTE STRETTA FRA LA NUOVA ZONA FRANCA DI GORIZIA E LA BASSA TASSAZIONE SLOVENA - MA I POLITICANTI PARLANO D' ALTRO: STRISCIONI, ARTISTI DI STRADA, ALLARGAMENTO DEGLI ORARI DELLE GRANDI CATENE PER AMMAZZARE IL PICCOLO COMMERCIO - SUBITO LA "NO TAX AREA" A TRIESTE !

E PER SALVARE TRIESTE LA SPIAGGIA DI SABBIA A BARCOLA....


Qua sotto riportiamo, per la sua importanza, l' intero articolo del Piccolo di Gorizia CHE ANNUNCIA LA PRESENTAZIONE A MATTARELLA DEL PROGETTO DETTAGLIATO DI ZONA FRANCA GORIZIANA, che abbiamo già commentato stamattina (clicca QUI).

Perche' non si trova nulla sull' edizione di Trieste malgrado le forti ricadute locali ed il fatto che anche Trieste è confinante con la Slovenia ?


Perchè nessun politicante triestino ha ripreso la No Tax Area annunciata a luglio?


A Gorizia tutti gli schieramenti sono per la Zona Franca ( dal sindaco di Centro Destra al PD - vedi QUI) mentre a Trieste tutti girano con l' aquilone.
Escluso solo il Presidente dell' Autorità Portuale venuto da Verona (vedi QUI).


Ma dove vive questa gente?
Sono dei psicolabili che corrono dietro alle favole dei 2 milioni di turisti all' anno in Porto Vecchio e ai miraggi di investitori per 5 miliardi ?


Vogliono che Trieste sia presa in una tenaglia fra la Zona Franca di Gorizia e la bassa tassazione della Slovenia con il porto di Capodistria che si comporta come Porto Franco di fatto?



RICORDIAMO CHE, COME DICONO GLI STESSI GORIZIANI, PURE GLI ACCORDI DI OSIMO, CHE L' ITALIA RITIENE EFFICACI PER I CONFINI NAZIONALI, PREVEDONO UNA ZONA FRANCA CONFINARIA A TRIESTE, CHE NON E' STATA ATTUATA MA NEMMENO ABOLITA:
E' LI CHE ASPETTA... 
INSIEME AL POTENZIAMENTO DEI PUNTI FRANCHI PORTUALI CON LA "NO TAX AREA" FISCALE SULLA BASE DELL' ALLEGATO VIII.

Povera Trieste ! Costretta, dopo 100 anni di Italia e con una "classe politica" inqualificabile, a prendere lezioni da Gorizia anche sulla Zona Franca oltre che sui grandi eventi culturali come " E' Storia" !



Il Piccolo 28 ottobre 2016 Gorizia


Gect e Comune puntano alla creazione di una Zona economica speciale
Se andrà in porto previste detassazioni per le imprese che vogliono investire
di Francesco Fain. 
L’acronimo è “Zese”. E si riferisce alla cosiddetta “Zona economica speciale europea”: una proposta che il sindaco Romoli ha fatto uscire dal cilindro durante la cerimonia ufficiale con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Mai prima d’ora era stata delineata questa possibile via d’uscita per rendere appetibile agli investitori quella che è diventata una zona depressa. Sì, si era parlato di Zone franche urbane, di Aree a bassa fiscalità, di Labour Belt ma mai era stato prodotto uno studio organico e compiuto che consentisse al Gect (Gruppo europeo di cooperazione territoriale) di recitare il ruolo dell’attore protagonista. Oggi siamo in grado di proporlo in anteprima. L’elaborazione è della direttrice del Gect, Sandra Sodini. Agevolazioni di natura fiscale «Nessuno pensi alla benzina e alla sigarette - premette il sindaco Ettore Romoli -. La “Zese” non è la zona franca old style che si identificava appunto con i contingenti agevolati di carburante, con i “buoni” prima e con la tesserina magnetica poi. Ci riferiamo ad un nuovo tipo di Zona franca che ha come obiettivo arrivare alla detassazione delle imprese e dei capitali finanziari. Ho già sottoposto la proposta e lo studio attuativo all’ambasciatore d’Italia a Lubiana e spedirò, nei prossimi giorni, tutto il materiale direttamente al Ministro Padoan. Ho approfittato della visita del Presidente Mattarella per lanciare questa proposta che se troverà appoggio a livello romano potrà cambiare le sorti di quest’area». Ma entriamo nel dettaglio. «Solo a seguito dell’entrata della Slovenia nell’Unione europea - si legge nello studio - si è compreso quanto il confine avesse condizionato l’economia reale del territorio, essendo oggi testimoni, a 11 anni dalla sua caduta, di una desertificazione imprenditoriale senza precedenti e di un calo demografico che ha portato al taglio di servizi essenziali per i cittadini. Quale futuro per questo territorio? Questa la domanda che si sono dovuti porre gli amministratori delle tre città confinarie negli ultimi dieci anni per cercare di avviare nuovi modelli di sviluppo per risollevare un’economia basata principalmente su un confine che non sarebbe più tornato. Le condizioni del rilancio economico dell’area transfrontaliera traggono origine proprio dall’analisi dei trattati internazionali che ne hanno scandito la storia degli ultimi 70 anni (Ma guarda un po'! ndr.) ed è proprio l’Ue stessa che sembra aver provveduto a pensare, già nel 1998, al futuro di questo territorio attraverso un lungimirante passaggio contenuto nell’accordo di associazione con la Slovenia, ratificato in Italia con la legge 108 del 23 marzo 1998». Nessun rischio di infrazione europea Il titolo decimo dell’accordo, infatti, pone al riparo da ogni rischio di infrazione la previsione, in attuazione alle disposizioni contenute nell’accordo di Osimo in materia di cooperazione economica tra Slovenia ed Italia, di costituire delle “zone franche di frontiera” da istituire mediante accordi tra la Repubblica italiana e la Repubblica slovena. Questa previsione normativa venne accolta con grande favore dagli allora sindaci delle tre città di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrtojba, tanto che venne firmato un accordo il 23 settembre 2000 tra le tre amministrazioni per promuovere con ogni azione possibile l’istituzione di una “Zona agevolata a cavallo di confine” nel territorio delle tre municipalità. «Tuttavia, nonostante l’importanza del dettato normativo comunitario e le dichiarazioni di intenti sottoscritte tra le tre città, il progetto di istituzione di una zona franca transfrontaliera non decollò, probabilmente per la mancanza degli strumenti giuridici adeguati e per l’evidente difficoltà di attuare un siffatto progetto tra uno stato membro dell’Unione europea ed uno stato non membro, seppure associato, come al tempo risultava la Slovenia - rammenta Sodini -. Oggi, le rafforzate prospettive di collaborazione tra i tre comuni, ma soprattutto il mutato contesto europeo che ha registrato enormi passi avanti mettendo a disposizione innovativi strumenti sia giuridici che programmatori per la costruzione di una Europa realmente senza confini, ci sprona a considerare la fattibilità dell’operazione per attuare non solo il rilancio economico dell’area con una sostenibilità nel lungo termine, ma anche la costituzione di un’azione pilota di successo per superare gli ostacoli determinati dai confini nazionali nelle aree transfrontaliere».


«Così si sfrutta il nostro potenziale»
Sodini (Gect) illustra il piano. Il sindaco Romoli: «Messi a tacere tutti i polemisti»

«Cosa resta della visita di Mattarella a Gorizia? Resta tantissimo. Perché le parole del Presidente sono il riconoscimento del lavoro che questa amministrazione ha fatto nel campo della collaborazione transfrontaliera. Sono stati messi a tacere tutti i polemisti di professione». Ettore Romoli si toglie i proverbiali sassolini dalle scarpe. E attacca 24 ore dopo la visita del Capo dello Stato alla città. «Tutti coloro che dicono che siamo all’anno zero, che bisogna celebrare i matrimoni sul confine, che non abbiamo fatto abbastanza con la Slovenia, sono serviti. Basta polemiche. Basta demagogica». La Zona economica speciale europea gestita dal Gect nell’area dei tre Comuni ricadenti nel territorio di Osimo, rimarca Sandra Sodini, «potrebbe rappresentare quello strumento all’avanguardia che permetterebbe all’Unione Europea di creare uno spazio per la prima volta realmente europeo, non soggetto ai confini nazionali, istituito per attrarre investimenti extra Ue in territorio europeo, sfruttando il potenziale geografico di un territorio centrale in Europa che ha già infrastrutture logistiche d’eccellenza, collegamenti autostradali, aeroportuali e portuali e che potrebbe giocare un ruolo di prim’ordine anche guardando al futuro allargamento dell’Ue all’area balcanica, vicina sia per ragioni geografiche che per la storia di relazioni internazionali che questo territorio ha sempre rappresentato. Le attività che possono essere autorizzate nella Zona economica speciale europea devono essere oggetto di un ulteriore approfondimento tecnico-giuridico che delinei la tipologia di agevolazioni doganali e fiscali da applicare». (fra.fa.)

A GORIZIA LA ZONA FRANCA, A TRIESTE GLI STRISCIONI - POLITICANTI INCAPACI PENSANO CHE FAR DIVENTARE TRIESTE COME GRADO O CHE IL TURISMO IN PORTO VECCHIO SIANO LA SOLUZIONE DEL GRAVE DECLINO - MENTRE A GORIZIA FARANNO LA ZONA FRANCA !


Il mondo alla rovescia: a  Trieste come a Carnevale gli scemi del villaggio al posto di comando !

Gorizia ha usato la visita di Mattarella per lanciare la sua ZONA FRANCA con fiscalità di vantaggio da tempo sostenuta da tutti con il PD in testa (clicca QUI).
Cliccando QUI trovi i testi della prima pagina goriziana del Piccolo.

A Trieste invece NESSUN politicante (politico è una parola grossa !) di nessun schieramento ha raccolto l' assist della proposta di NO TAX AREA recentemente ripresa dal presidente dell' Autorità Portuale D' agostino (clicca QUI).

Preferiscono gingillarsi con la "città turistica" per estendere l' orario delle Grandi Catene che assassinano il commercio indipendente, con le proposte assurde  per Porto Vecchio fantasticando di 5 miliardi di investimenti che nessun privato farà mai mentre, più concretamente, la "sdemanializzazione" porrà a carico del  Comune un' enormità di spese  per cui bisognerà aumentare le tasse o ridurre i servizi sociali.

Pensano che far diventare Trieste come Grado o Lignano sia la soluzione per la gravissima decadenza della città e infatti farneticano di "spiagge di Sabbia a Barcola" e "Attrattori Culturali Transnazionali" in Porto Vecchio.

Preferiscono fare la "battaglia degli striscioni" e gli alzabandiera deserti...

Manica di ignavi incompetenti o in malafede eletta da dei cittadini storditi dalla decadenza della città: siano essi di Centro Destra o di Centro Sinistra.

L' unica strada per rilanciare Trieste (e utilizzare produttivamente Porto Vecchio) è sfruttare le prerogative del Porto Franco Internazionale aggiungendovi una No Tax Area che è quello che si voleva fare con il Centro Finanziario Off-Shore negli anni '90, previsto dalla legge 19/91 ma cassato in primis dal Commissario europeo alla Concorrenza Mario Monti, poi Premier del governo amministratore di Trieste.

Noi insistiamo e pensiamo che se vogliamo rilanciare Trieste sia necessario creare un movimento trasversale per la No Tax Area perchè da questi politicanti non arriverà mai niente di buono.
E' un primo obbiettivo da raggiungere urgentemente per contrastare il tracollo dell' economia e le conseguenze della fallimentare politica "fantaturistica" su Porto Vecchio.


giovedì 27 ottobre 2016

#Terremoto - POLITICANTI IRRESPONSABILI, ASCOLTATE I GEOLOGI ! - ANCHE TRIESTE HA UNA FAGLIA: RICLASSIFICARE LA ZONA SISMICA E FINANZIARE UN PIANO DI MESSA IN SICUREZZA DEGLI EDIFICI –


Altri terremoti nell' Italia Centrale: il sistema geologico si sta muovendo e le faglie sismogenetiche si attivano con un "effetto domino".

Da agosto stiamo insistendo sui recenti studi geologici UFFICIALI che dimostrano che nel golfo di Trieste c'è una faglia, con attività recente, potenzialmente attiva.


Ma malgrado gli studi ufficiali i politici non fanno nulla per riqualificare la zona sismica in cui è inserita Trieste e di conseguenza nulla viene fatto sul piano della prevenzione antisismica e per ottenere adeguati stanziamenti pubblici per la messa in sicurezza degli edifici anche a Trieste.

Sono degli irresponsabili.
Non servono le lacrime di coccodrillo e l' uso strumentale dei terremoti per far passare i bilanci statali a Bruxelles.
SERVE PREVENZIONE.

Per non tediare i lettori qui sotto riportiamo i link ai nostri principali articoli, comprensivi dello studio geologico completo.
Clicca:
QUI 

QUI  Lo studio completo
QUI 
QUI I precedenti storici

Ricordatevene ad ogni elezione o referendum.

Di seguito alcune citazioni dello studio:

RIVALUTARE LA PERICOLOSITA' SISMICA:

"Infatti, l’area del Golfo di Trieste e la relativa costa orientale, mancando informazioni geologiche adeguate, e avendo a disposizione solo le registrazioni strumentali e i dati storici, veniva considerata con una sismicità non significativa, mentre i risultati di queste indagini,evidenziando la presenza di faglie con attività recente, suggeriscono una rivalutazione della pericolosità sismica."  (è chiaro ??)

EVENTI SISMICI A BASSA INTENSITA' RILEVATI IN RELAZIONE ALLA FAGLIA DI TRIESTE, MALGRADO L' INADEGUATEZZA DEGLI STRUMENTI:
"Le registrazioni strumentali, in particolare quelle della rete sismometrica del Friuli Venezia Giulia dell’OGS operativa dal 1977, evidenziano la presenza di eventi sismici di bassa intensità. Bisogna considerare che la rete sismometrica è stata costruita per monitorare le strutture sismogenetiche note della zona alpina e prealpina, mentre il Golfo di Trieste, finora considerato con attività non significativamente importante non ha una rete adeguataNonostante ciò, la sismicità rilevata dalla rete negli ultimi decenni, anche se modesta, è congruente con quanto evidenziato dall’indagine geologica e geofisica."




Ascoltate i geologi ! Cazzo !

Cliccando QUI un articolo di una geologa sul Huffington Post sulla "Faglia silente" che si è attivata ieri.




Così il presidente dei geologi  Francesco Peduto:

Cosa fare nell’immediato?
«Non c'è la bacchetta magica: cominciare a dare una seria informazione ai cittadini, verificare i piani di protezione civile comunale, istituire il fascicolo del fabbricato così da avere coscienza se si vive in casa sicura, e soprattutto se la casa ha il certificato sismico. Non si può fare da oggi a domani ma si può avviare. E servono molti soldi. Se oggi calcoliamo che servono poco più di 100 miliardi per mettere in sicurezza il patrimomio edilizio storico, ricordo che dagli anni 60 a oggi abbiamo speso 150 miliardi per riparare i danni, con numero di vittime significativo». Ma esistono in Italia zone non sismiche? «Sono davvero poche le zone con rischio sismico bassissimo. Un po’ la Sardegna, ma n on mi sentirei di escluderne altre. E anche dove il rischio è medio o basso non significa che non ci possano essere problemi. La zona emiliana era a rischio basso, poi riclassificato in medio. Quindi bisogna mettere in atto stesse precauzioni che si mettono nelle zone a maggior rischio. Molto dipende da quello che c'è sotto i piedi di un palazzo, per questo insistiamo sulla conoscenza del terreno: alcune aeree per caratteristiche morfologiche amplificano gli effetti dei terremoti».

mercoledì 26 ottobre 2016

GORINO, RAZZISMO, PESCATORI E POLITICA IRRESPONSABILE - "Qui non c'è niente. Niente per noi, che ci siamo nati: figurarsi per gli altri" - E' un problema di risorse insufficienti per tutti e inadeguate anche per gli stessi cittadini residenti, non di razzismo -



"Qui non c'è niente. Niente per noi, che ci siamo nati: figurarsi per gli altri": 
frase pronunciata da una abitante di Gorino, sul delta del Po, zona storicamente "rossa", che ha partecipato al blocco stradale anti immigrati che ha fatto gridare allo scandalo.

Desta sempre sospetto vedere pasciuti giornalisti televisivi, preclari baroni universitari e politici ben sistemati moraleggiare dando dei razzisti incivili agli abitanti di un borgo di pescatori in rivolta contro la requisizione dell' unico centro di aggregazione (l' ostello con l' unico bar) per adibirlo ad alloggi per migranti.

Nell' ultima legge di bilancio italiana si precisa che la spesa per assistenza ai migranti nel 2015 è stata di 3 miliardi e 300 milioni, ovviamente in aumento nel 2016 (clicca QUI).
Una somma notevole se la si confronta con quella, molto inferiore, del Servizio Sanitario Regionale della Regione Friuli-Venezia Giulia che quest' anno, prevede di spendere solo 2 miliardi e 624 milioni per la sanità pubblica per tutti i cittadini, che qui sono particolarmente anziani (clicca QUI).

Certo, 3 miliardi 300 milioni è una  somma irrisoria nella testa di alcuni esponenti PD, che favoleggiano, come se niente fosse, di investimenti (di inesistenti investitori privati) di oltre 5 miliardi per l' urbanizzazione di Porto Vecchio.

Ma in un paese dimenticato, senza medico e servizi, come  Gorino, che vive di pesca, può sembrare che risorse necessarie per i residenti siano invece dirottate altrove... anche i disoccupati e i molti che sono in serie difficoltà possono legittimamente pensarlo.

E' un problema di risorse insufficienti per tutti e inadeguate anche per gli stessi cittadini, come la situazione di Gorino dimostra.

Il razzismo non crediamo c' entri e reazioni analoghe si sarebbero viste anche se gli immigrati fossero stati Islandesi, Lapponi o Tedeschi di pura razza ariana...
Certamente l' appartenenza a culture radicalmente diverse accentua la tensione come è inevitabile ed umano: visto che in Italia ci sono da sempre tensioni fra abitanti del Nord e del Sud non si capisce come si possa  pretendere che non ce ne siano con provenienti da culture dove, ad esempio, le donne sono sottomesse come animali ed infibulate.
Ma non crediamo che alcuno pensi di far parte di una "razza superiore" e non sia disposto a dare una mano ad altri esseri umani se le risorse fossero abbondanti, cosa che non è da anni.
Cliccando QUI un' intervista al parroco di Gorino al Fatto Quotidiano.


E' noto che il " Buon Padre di Famiglia" ha il dovere di soddisfare prima le necessità dei propri figli e famigliari, secondo gli standard del posto e dell' epoca, e poi di dedicarsi alla beneficenza verso i viandanti che ecceda il primo doveroso soccorso in caso di pericolo reale immediato.
Altrimenti i figli e i famigliari potrebbero facilmente farlo interdire da un Tribunale.

Ebbene, quello che sta succedendo è che nemmeno gli italiani considerano più lo Stato Italiano come un Buon Padre di Famiglia, visto che non provvede alle necessità dei cittadini, come dimostra lo scandalo del 40% di disoccupazione giovanile malgrado la retorica della "Repubblica fondata sul lavoro", e stanno rumoreggiando per farlo legittimamente interdire.
Anche in considerazione di continui tagli a servizi pubblici, sanità, istruzione, forze dell' ordine e investimenti pubblici perchè "non ci sono soldi ed il debito pubblico è alto", come si ripete ossessivamente da anni.
Tagli però contemporanei a sprechi e privilegi intollerabili oltre a spese enormi che si riversano anche in un opaco "mercato dei migranti" alimentato da oltre tre miliardi pubblici.


Ragion per cui va cambiata la politica italiana sull' immigrazione, che evidentemente nessun paese europeo è disposto a seguire ed assecondare, malgrado i lamenti renziani.
Sciaguratamente Trieste ne è coinvolta da quando il Governo Italiano nell' ottobre 1954 ha ottenuto l' amministrazione civile.

L' immigrazione deve essere regolata seriamente e quella irregolare severamente disincetivata, altrimenti si innesca una bomba sociale di cui già si è accesa la miccia.


I buoni sentimenti ed il "politicamente corretto" non possono spingersi fino ad alzare le tensioni sociali oltre il livello di guardia e compromettere il vivere civile.
I lavoratori hanno il diritto di difendersi dall' importazione forzata di mano d' opera a basso costo che va ad ingrossare un "esercito industriale di riserva", già sovradimensionato dai troppi disoccupati e precari a son di "vaucher", usato per abbattere salari e diritti.


Quanto avvenuto a Gorino è un campanello d' allarme che anche il PD farebbe bene a considerare invece di abbandonarsi ad esecrazioni, soprattutto ora che sta riflettendo sul perchè perde le elezioni anche in zone "rosse" come Monfalcone e la Bassa e sul perchè i lavoratori, i ceti deboli e quelli medi impoveriti cerchino altrove punti di riferimento.


E speriamo ardentemente che l' attuale politica sconsiderata sull' immigrazione, sul lavoro, sull' economia non apra la strada a forze realmente razziste e antidemocratiche.
Si è già visto come gravi crisi gestite da cani nel solo interesse delle èlite siano sfociate in conflitti etnici prima e in regimi totalitari poi.



BATOSTA ELETTORALE - LA NARRAZIONE DEL PD E', APPUNTO, SOLO UNA NARRAZIONE CHE SI SCONTRA CON LA REALTA' - CARRIOLATE DI PROMESSE E ATTEGGIAMENTI "POPULISTI" DI RENZI IN VISTA DEL REFERENDUM - MA LA REALTA' E' ALTRA: DIFFICOLTA' PER 3 MILIARDI DI SPESE PER I MIGRANTI E ASSURDE PROMESSE DI 5-7 MILIARDI DI INVESTIMENTI PER PORTO VECCHIO -


Ormai non c'è giorno che Renzi non intervenga direttamente in TV.
Va di moda definire "narrazione" le ciacole dei politici e ieri ne abbiamo avuto un esempio da Bruno Vespa con il Premier italiano impegnato in atteggiamenti che in altri sarebbero definiti "populisti" o "demagogici" per farsi accreditare come difensore del popolo italiano contro i soprusi della UE.


Che dire di un premier che dichiara "devono aprire il portafoglio e non la bocca" che sentenzia "la salute prima di tutto" e via arringando la plebe solleticando la rabbia sempre più diffusa dopo 8 anni di crisi durissima che, come ha detto il Ministro dell' Economia Calenda, ha fatto più danni di una guerra con la distruzione di un quarto dell' apparato produttivo italiano e con il raddoppio della disoccupazione?

C'è da dire che è ora il massimo esponente di quell' estabilishment italiano che ha fatto questo disastro, e che cerca di farsi passare per oppositore sperando di racimolare voti per il Referndum del 4 dicembre vuoi con toni demagogici, vuoi andando alle cene di gala con Obama.

Leggi come il Job Act (attenzione all' uso dell' inglese che fa "figo") sono un disastro ormai riconosciuto da tutti.
E così per il resto, con la sanità in prima fila, malgrado le espressioni demagogiche sulla "salute".
Quello di EQUITALIA è un bluff che riguarda solo un cambiamento di nome della famigerata società di gabellieri; quello del Ponte sullo Stretto di Messina è un bluff, come quello di berlusconi, per racimolare voti al Sud.


I cittadini si sono ormai accorti che si tratta solo di "politica degli annunci" e "marketing politico" ovvero "pubblicità" priva di sostanza se non quella degli aiuti alle banche: MontePaschi del PD e Banca Etruria dei Boschi in testa.


Esaminiamo in termini locali la "narrazione" del PD: a livello nazionale si lamenta con la UE per l' enorme cifra di 3miliardi spesi nel 2015 per gestire la "crisi migranti" qui invece, con Russo e Cosolini in testa parla addirittura di 5-7 miliardi di investimenti nel Porto Vecchio di Trieste come se fossero bruscolini.

Porto Vecchio come il Ponte sullo Stretto di Messina !

Più che "narrazione" si tratta ormai chiaramente di favole e la gente comincia a capirlo.

TRATTARE GLI ELETTORI DA IDIOTI CON TRUCCHETTI DI MARKETING NON CONVIENE, almeno alle nostre latitudini.

E arrivano le batoste elettorali a Trieste, Monfalcone... purtroppo non in favore di una alternativa vera ma di un ritorno ai vecchi venditori di pentole berlusconiani del Centro Destra.
Sembra quasi che se l' alternativa deve essere fra venditori di pignatte si scelgano quelli del passato, ricordato come migliore al confronto di una crisi senza sbocco e un futuro quanto mai preoccupante che da Monti in poi viene gestito, malamente, dal Centro Sinistra.

PS. A CONFERMA CI GIUNGE LA SEGUENTE NOTIZIA, GRAVE, CHE RIGUARDA IL PORTO E L' IVA:  

Oggi ho avuto una notizia che rischia in questo momento di risalita, di rimettere in ginocchio tutta l'economia nazionale e triestina della logistica. È passato un articolo sul DDL fiscale ( dovrà essere convertito in 60 gg ) che di fatto abolisce l'istituto del deposito IVA che permette, a determinate condizioni di importare la merce sospendendo il pagamento dell'IVA stessa. Tutti I paese UE ce l'hanno e normalmente hanno un imposizione diretta più bassa della nostra. Questa norma farà si che gli importatori italiani faranno transitare le merci in altri porti europei ( Koper e Rotterdam ad esempio ) con una ricaduta lavorativa, in termini PIL, di entrate daziarie ENORME. Questo governo deve andare a casa subito.



lunedì 24 ottobre 2016

VIA DELLA SETA: LE FILIPPINE SI ALLINEANO CON LA CINA E MOLLANO GLI USA - ACCORDI PER 13,5 MILIARDI DI DOLLARI CON PECHINO - LE ROTTE DEL MAR DELLA CINA ORA SONO PIU' APERTE

[Rodrigo Duterte in visita in Cina incontra Xi Jinping

Con il viaggio a Pechino (il primo all’estero da presidente delle Filippine) Rodrigo Duterte si è avvicinato alla Cina e allontanato dagli Stati Uniti.

Duterte ha chiesto alla Repubblica popolare di “aiutare” le Filippine con investimenti nelle infrastrutture e di prender parte al progetto “Una cintura, una via”. Detto fatto, sono stati firmati vari memorandum d’intesa per lo sviluppo di progetti finanziati da Pechino e sono stati conclusi accordi per una cifra che sarebbe pari a 13,5 miliardi di dollari.

Duterte e il suo omologo Xi Jinping hanno concordato di risolvere le dispute nel Mar Cinese Meridionale bilateralmente e messo da parte la relativa sentenza della Corte d’arbitrato dell’Aia di questa estate, favorevole a Manila.

Ad ogni modo i due leader non avrebbero parlato della possibilità di consentire ai pescatori filippini di operare intorno all’atollo Scarborough – sotto il controllo di Pechino.

Quanto al rapporto con gli Usa, le dichiarazioni di Duterte sono state contrastanti. Di fronte al vice primo ministro cinese Zhang Gaoli ha annunciato la sua “separazione” da Washington.

Invece, in un’intervista rilasciata alla televisione di Stato cinese ha detto al minuto 7: “Non sto rompendo con gli Stati Uniti, voglio solo essere amico di tutti”.

Nei mesi scorsi Duterte aveva affermato di voler interrompere le operazioni militari congiunte con Washington e che avrebbe messo fine alla rotazione dei soldati americani sul territorio filippino. Al momento nessuno dei due provvedimenti è stato preso e l’accordo di difesa reciproca tra i due paesi firmato nel 1951 è ancora in vigore.
A settembre il Presidente Filippino aveva pesantemente insultato Obama che anena di conseguenza annullato un incontro ufficiale.

Le Filippine non hanno ancora detto addio agli Usa, ma Duterte ha certamente lanciato un messaggio al loro prossimo presidente: oggi il pivot to asia (la strategia americana di contenimento della Cina) non frutta quanto le nuove vie della seta (quella marittima passa per casa nostra...).

Tutti i punti toccati nella mappa riceveranno un forte impulso tale da sviluppare autosufficienza economica: Trieste, e non certo Venezia priva di fondali e collegamenti con l' Europa Centrale, è la candidata naturale per l' Alto Adriatico

domenica 23 ottobre 2016

SU REGENI L' ITALIA HA SBAGLIATO TUTTO - DOPO LA SBRONZA DI STRUMENTALIZZAZIONI, GRANCASSA MEDIATICA E RETORICA DELLA "BATTAGLIA DEGLI STRISCIONI" E' ORA DI RAGIONARE - UN ARTICOLO DI "LIMES" PER I NOSTRI LETTORI -

LIMES, l' autorevole rivista di geopolitica (del gruppo Espresso diretta da Lucio Caracciolo), pubblica un nuovo, chiarissimo - anche sulla responsabilità dei media -, articolo sul "caso Regeni" che a Trieste è al centro dell' attenzione grazie alle sfacciate strumentalizzazioni e ai fiumi di retorica che hanno accompagnato la penosa "battaglia degli striscioni" di cui sono stati squallidi protagonisti Centro Destra e Centro Sinistra e di cui il Piccolo è stato la grancassa ( clicca QUI ).

Offriamo ai nostri lettori il testo integrale dell' articolo che, ovviamente, tratta la questione dal punto di vista della politica internazionale italiana:

Sul caso di Giulio Regeni, l’Italia ha sbagliato tutto

L’approccio di Roma all’uccisione del ricercatore italiano è stato fallimentare. La fretta di trovare un responsabile ha avuto la meglio sulla necessità di valutare le circostanze e le conseguenze politiche di questo omicidio. A circa 9 mesi dal ritrovamento del corpo, il bilancio è doppiamente negativo: la verità che giustamente pretendiamo è ancora lontana e i rapporti con l’Egitto sono ai minimi storici. A tutto vantaggio di altri paesi europei, forse non estranei alla vicenda.
Sino a prova contraria la politica è, o almeno dovrebbe essere, “l’arte del possibile”. L’arte di individuare cioè quali risultati in linea con differenti orientamenti esistenziali sia possibile conseguire in determinati momenti storici con i mezzi a disposizione e a dispetto degli ostacoli che si frappongono fra noi e il risultato.

Dal lato dei principi e dei valori che la ispirano e che debbono rimanere l’orientamento costante da cui non deflettere nei momenti più duri, essa è quindi puro ideale. Dall’altro però sconta con un maturato realismo la necessità giornaliera di volare sempre più o meno all’altezza del terreno, pena la rinuncia a traguardi che si potrebbero conseguire e quindi la sottrazione, proprio a quel popolo che la politica serve, di possibilità e beni di cui esso avrebbe potuto usufruire se le cose fossero state gestite con maggiore oculatezza.

La politica è un perenne confronto/scontro fra idealismo e realismo, una costante ricerca di un punto di equilibrio che possa soddisfare i nostri principi senza scendere al di sotto della linea rossa e nel contempo permetterci di conseguire almeno parte di quelli che sarebbero stati i risultati ottimali.

La politica è quindi anche l’arte del compromesso: un compromesso in cui a volte parte dei principi sono sacrificati alla realtà delle cose, altre volte è sacrificato – sull’altare di valori e principi – parte di quell’utile che una visione più spregiudicata delle cose avrebbe reso conseguibile.

Il massimo errore che si può compiere è quello di arroccarsi su posizioni di principio, mirando soltanto a mantenersi puri e duri, a preservare l’integrità di una linea di condotta, a premiare l’ideale scordando la realtà, o viceversa a privilegiare unicamente il realismo a scapito di ogni altra considerazione.

Premessa forse un po’ lunga, ma indispensabile qualora si voglia compiere un esame equilibrato del cosiddetto “caso Regeni” e degli avvenimenti che si sono succeduti da quando il corpo martoriato del giovane ricercatore universitario italiano è stato rinvenuto ai margini della autostrada che congiunge Il Cairo ad Alessandria.

Si tratta di una vicenda che, al di là della tragica dimensione umana, ha indubbiamente anche un lato politico, considerato come le sue ricadute incidano da alcuni mesi sulle relazioni tra l’Italia e l’Egitto, producendo conseguenze negative di cui entrambi sono stati costretti ad accollarsi il non indifferente onere.

In questa occasione, emerge chiarissima la contrapposizione fra una valutazione ideale – che imponeva a noi italiani di schierarci con compattezza a fianco di una famiglia che giustamente pretende la verità sul calvario di un figlio nostro concittadino, ucciso con barbarie inaudita – e le considerazioni di carattere pratico – che ci suggerivano di proteggere un rapporto internazionale consolidato da decenni, di grande importanza per il nostro paese e da cui entrambe le parti avevano sempre ricavato considerevoli utili.

Era uno di quei classici momenti in cui la politica avrebbe dovuto esercitare con avvedutezza la sua funzione mediatrice, rilanciando l’indagine allorché essa dava segno di languire ma mantenendosi pronta a temperare ogni eventuale eccesso.

Purtroppo dall’inizio alcuni fattori hanno sconvolto quello che sarebbe stato l’ordinato andamento delle cose, trasformando rapidamente l’intera vicenda in un nodo gordiano difficile, se non addirittura impossibile, da sciogliere.

Il primo è indubbiamente consistito nella velocità eccessiva con cui la delegazione industriale italiana che si trovava al Cairo ha abbandonato più o meno all’istante l’Egitto appena avuto notizia dell’assassinio, sospendendo immediatamente i colloqui in corso. Un gesto che è suonato come una pubblica condanna della controparte, quasi esistessero prove sicure che per il momento non si volevano rendere pubbliche ma che permettevano di individuare senza ombra di dubbio i responsabili del delitto.

Peggio ancora: il fatto che quella italiana fosse una reazione governativa e che incidesse su un’attività che coinvolgeva i due governi fece subito pensare che le responsabilità del Cairo potessero essere responsabilà ufficiali e che l’unico interrogativo rimasto fosse quello sui nomi e il livello dei personaggi egiziani responsabili dell’assassinio del povero Regeni e del successivo tentativo di occultamento del suo cadavere.

Il baratro creato da questo iniziale passo falso fu poi rapidamente ingigantito dalla campagna montata dalla stampa italiana, centrata su decine di inviati speciali privi della minima esperienza di paesi arabi scaraventati al Cairo con l’ordine di ricostruire le ultime giornate del giovane ricercatore, arricchendo ogni servizio di particolari inediti capaci di distinguerlo da quelli delle altre testate. Cosa che essi hanno fatto puntualmente, riuscendo in meno di una settimana a creare il classico mistero all’italiana, in cui non si ricerca più la verità perché esiste a priori una verità accettata come tale che deve essere assolutamente dimostrata e che nessuno può più permettersi di mettere in dubbio.

Il secondo fattore fu l’atteggiamento assunto nei riguardi dell’Egitto e della sua classe dirigente, criminalizzata dall’inizio fino al livello più elevato, dando per scontati coinvolgimenti e responsabilità che scontati non erano affatto. Il gioco risultò abbastanza facile, poiché si partiva da una verità incontestabile, cioè che il paese fosse retto con mano di ferro e con leggi da stato di emergenza che incidevano in maniera pesante su diritti e libertà individuali. Da qui si traeva la deduzione – tutta da dimostrare, ma enunciata anch’essa come vera – che ogni decisione in merito al caso Regeni fosse stata adottata con l’approvazione del presidente al-Sisi o perlomeno fosse stata tempestivamente portata a sua conoscenza.

Sicuramente da un certo momento in poi è andata così, considerato il rilievo internazionale assunto dal caso, ma nelle sue prime fasi ciò risulta, se non incredibile, altamente improbabile. Anche le varie inchieste “indipendenti” condotte dalla nostra stampa non sono riuscite a risalire oltre la presunta responsabilità di ufficiali di livello elevato della polizia di Giza.

Si è preteso inoltre – questo è il terzo punto – che la giustizia del Cairo si muovesse con una rapidità e un’efficacia che la nostra è ben lungi dall’avere ma che con innegabile faccia tosta pretendiamo regolarmente da quelle altrui. Vedasi a riguardo anche l’esemplare caso dei nostri due marinai incriminati in India. Si sono pesantemente sottovalutate le difficoltà di comunicazione tra un sistema giuridico come quello italiano, di matrice romano/napoleonica, e quello egiziano, coranico/anglosassone. Il mancato rispetto dei tempi che avevamo cercato di imporre alla controparte ci ha condotti a mettere anche pubblicamente in dubbio l’affidabilita e la sostanziale indipendenza dalla politica che invece sono universalmente riconosciute alla magistratura egiziana. Si è trattato di un errore che ha rischiato di incidere fortemente sulle indagini e che solo adesso che i dati richiesti iniziano ad affluire dall’Egitto viene piano piano corretto.

Quarta osservazione: ci siamo limitati a constatare quanto era successo e a cercare di scoprire chi ne fosse responsabile senza mai veramente approfondire perché fosse successo quanto era successo.

Non abbiamo mai cercato di chiarire la vera natura della missione che lo sventurato ricercatore svolgeva al Cairo. Abbiamo evitato di domandarci, quasi si trattasse di una cosa disonorevole, se Regeni fosse – coscientemente o meno – una spia dell’MI6, il servizio di spionaggio esterno del Regno Unito inviato ad approfondire i rapporti del potere egiziano con quei sindacati indipendenti che il Cairo considera pericolosi per la stabilità nazionale.

La reticenza e l’iniziale rifiuto di rispondere alle domande della nostra giustizia da parte della professoressa che fungeva da riferimento per la ricerca di Giulio presso l’Università di Cambridge (da sempre il maggior polo di reclutamento di MI5 ed MI6, i due principali servizi britannici) sembra confermare – ora che finalmente ci si è mossi in quella direzione, dopo aver perso parecchio tempo prezioso – la potenziale esistenza di responsabilità che il Regno Unito e l’Università non vorrebbero assumersi pubblicamente ma che potrebbero avere condizionato sin dall’inizio in maniera negativa l’intera vicenda.

Infine non è stata prestata sufficiente attenzione alle palesi incongruità dell’episodio. Il corpo di una vittima, che il locale regime avrebbe tutto l’interesse a far sparire, viene ritrovato, per di più proprio mentre è in corso una visita italiana di altissimo livello, ai margini di quella Cairo-Alessandria che è probabilmente la strada più trafficata di tutto l’Egitto. Cioè proprio dove si poteva essere ben sicuri che sarebbe stato rapidamente reperito: un’inspiegabile assurdità da parte di chi aveva a disposizione una buona porzione del Sahara per far eventualmente sparire ogni traccia di Regeni.

Altrettanto assurdo appare qualche giorno dopo il tentativo di imputare dell’omicidio alcuni delinquenti comuni, esibendo come prova documenti ed effetti del ricercatore reperiti secondo la versione ufficiale della polizia di Giza nell’abitazione degli assassini. È come se nel caso fossero state contemporaneamente in azione due squadre diverse, contrapposte l’una all’altra e con obiettivi differenti: la prima, responsabile della tortura e dell’uccisione di Giulio Regeni, intenzionata a far rapidamente sparire ogni prova del delitto; la seconda che invece tenta di portarlo con ogni mezzo alla attenzione della opinione pubblica mondiale.

A quale fine? La domanda può avere una risposta duplice.

Possiamo infatti trovarci di fronte alla rivalità feroce, e alla conseguente lotta intestina, fra due fazioni del regime in contrasto fra loro per il predominio. I naturali candidati all’identificazione sarebbero il ministero dell’Interno – da cui dipendono, oltre alla polizia, i servizi di informazioni generali (il Mukhabarat) – e il ministero della Difesa, che gestisce invece i servizi militari (Military Intelligence), cresciuti notevolmente di potere e competenze nell’era di al-Sisi. Non è forse un caso che nelle dichiarazioni rilasciate poco dopo l’inizio della vicenda il ministro dell’Interno egiziano abbia escluso ogni responsabilità, riferendosi però unicamente al suo ministero: una sfumatura che in ambito italiano non è stata adeguatamente recepita.

Oppure il tutto potrebbe essere opera di servizi stranieri intenzionati a guastare le relazioni particolarmente buone fra l’Italia e l’Egitto.

In vista di cosa? Di interessi commerciali molto forti, magari: il pensiero va al grande giacimento che l’Eni ha da qualche tempo scoperto in Egitto, nonché alla sinistra nomea delle cosiddette “sette sorelle ” del petrolio , colpevoli probabilmente di averci sottratto a suo tempo anche Enrico Mattei.

Oppure a considerazioni di interesse strategico: se allineati su una medesima visione politica, Egitto e Italia sarebbero probabilmente in condizione di ricondurre a unità la Libia. Un’ipotesi che darebbe molto fastidio a quei paesi arabi schierati per la partizione nonché ad alcuni paesi europei che ancora considerano questa parte del Nord Africa come una palestra per scontri di influenza di gusto postcoloniale.

Il risultato finale di questa serie di errori, valutazioni affrettate, provvedimenti inopportuni, dichiarazioni precipitose rilasciate sotto la spinta di un’opinione pubblica cui occorreva assolutamente fornire un colpevole – e subito! – è stato il crollo delle relazioni fra i due paesi e la perdita di una posizione di assoluto rilievo politico ed economico che l’Italia si era pazientemente costruita in Egitto in decenni di faticoso ed efficace lavoro.

Non curandoci di salvaguardare quel giusto equilibrio fra idealismo e realismo che dovrebbe essere l’essenza stessa della politica, ci siamo procurati un danno le cui dimensioni si cominciano appena a intravedere.

Il nostro rapporto con l’Egitto – per decenni la nostra controparte preferita sull’altra sponda del Mediterraneo –  è ora estremamente teso, quasi conflittuale. La situazione si è ulteriormente aggravata dopo che Roma ha deciso di cancellare il previsto passaggio all’Egitto di ricambi per vecchi aerei militari che noi non avevamo più in servizio ma che il Cairo mantiene in linea. Un atto puramente simbolico, considerato che tale cessione aveva carattere gratuito e non era indispensabile alla controparte, che può reperire gli stessi materiali presso molti altri fornitori. Il diniego è stato però fortemente pubblicizzato in Italia e ha suscitato di conseguenza le indignate reazioni dell’Egitto, che lo ha considerato come uno schiaffo diplomatico, per di più pubblicamente impartito.

Ciò che ci rimproverano maggiormente gli egiziani è di aver fortemente contribuito, con il nostro comportamento complessivo nel caso Regeni, a danneggiare agli occhi dell’opinione pubblica mondiale tanto l’immagine del paese quanto quella del suo presidente. Contribuendo ad accrescere per riflesso l’instabilità interna di un regime e di un paese che si considerano a rischio di destabilizzazione poiché in guerra contro l’estremismo islamico. Si tratta di una accusa cui è molto difficile ribattere, sia perché contiene elementi di verità, sia perché una risposta articolata implicherebbe valutazioni che risulterebbero certamente sgradite alla controparte. Sviandoci da quel realismo che ci impone di riconoscere come, pur essendo ben lontano dalla perfezione, il regime di al-Sisi sia indubbiamente il meglio che l’Egitto può offrire in questo momento.


Il deterioramento delle relazioni politiche ha poi la conseguenza già accennata di rendere impossibile la cooperazione per la riunificazione della Libia. Così noi continuiamo ad appoggiare Saraj e il governo di Tripoli, mentre il Cairo non lesina appoggio politico e militare al Genrale Haftar, braccio armato della fazione di Tobruk. Il conflitto si eternizza e una sua ricomposizione diviene sempre più improbabile.

Vi è inoltre da considerare come l’allontanamento dall’Italia abbia contribuito ad accelerare il ravvicinamento alla Russia dell’Egitto. Riavvicinamento sicuramente già in embrione ma che le reazioni nazionali sul caso Regeni, unite a quelle di un’Unione Europea da noi sollecitata, hanno accelerato.

È così di pochi giorni fa la notizia della partecipazione di un battaglione di paracadutisti russi a esercitazioni congiunte con le Forze Armate egiziane. Il terreno di esercitazione è stato probabilmente scelto con valenza simbolica: si tratta infatti dell’area di El-Alamein, che verrà interessata dalle manovre proprio nel periodo dell’anniversario della grande battaglia, allorché ufficiali di quasi tutti i paesi Nato affluiranno ai grandi Sacrari della zona per le celebrazioni. Forse si tratta di una coincidenza… ma non bisogna farci molto conto, considerato il modo in cui di norma gli arabi convogliano i loro messaggi.

Dal punto di vista economico, ci sono poi due punti da considerare. L’interscambio – eravamo tra i primi partner commerciali dell’Egitto, mentre ora i commerci languono – e l’importanza del Canale di Suez. Quest’ultimo è un passaggio obbligato delle nuove vie della seta che con un grandioso progetto su scala mondiale i cinesi vorrebbero riattivare e che dovrebbe avere come suoi estremi navali Tien Tsin (il porto di Pechino) e Venezia (e Trieste ? ndr.), con l’Adriatico destinato a essere la porta di ingresso dell’Europa. Un progetto realizzabile solo se la concordia regna fra tutti i pezzi contigui del lunghissimo domino.

Un accenno infine al problema delle migrazioni dal Nord-Africa verso l’Italia. Potrebbe divenire rapidamente ingestibile, se oltre a partire dalla Libia i barconi che trasportano i migranti potessero salpare senza intralcio anche dalle coste egiziane. O, peggio ancora, se il regime incoraggiasse l’emigrazione clandestina in un paese che soffre di povertà e di disoccupazione endemiche, con una popolazione – per grandissima parte giovane e pari a circa la metà dell’intero mondo arabo – concentrata nella sovraffollata area irrigata dal Nilo.

Un assaggio di questa potenziale catastrofe lo abbiamo avuto in estate, allorché i barconi egiziani si sono sommati a quelli libici, sia pure in numero molto ridotto rispetto alla potenzialità. Forse anche in questo caso si è trattato di un messaggio trasmessoci in maniera indiretta, nel consueto stile arabo!


È dunque opportuno, in conclusione, accettare tempi un po’ più lunghi di quelli che vorremmo per la soluzione del caso di Giulio Regeni, riprendendo nell’attesa una politica di giusto equilibrio. Che risulti molto meno condizionata da ondate di sentimento generate mediaticamente (vedi la Prima Pagina Gialla del Piccolo ! ndr.Clicca) e che tenga conto, pur nella salvaguardia dei principi e dei valori, degli interessi reali del paese. Che accetti, quando indispensabile, che se non si può avere di più conviene accontentarsi di ciò o di chi appaia in quel momento come il minore dei mali possibili. Che si muova con precauzione e si faccia guidare esclusivamente dalla ragione. Che sappia guardare lontano e programmare di conseguenza, senza pretendere soluzioni immediate con un tempismo magari condizionato da scadenze elettorali locali. Che rispetti sempre le controparti, tenendo conto che il loro modo di ragionare può essere diverso dal nostro e le loro azioni particolarmente difficili da comprendere.

È tempo insomma che la nostra politica internazionale cessi di suicidarsi, come ha fatto nella fase iniziale del caso Regeni, ritornando a essere quella grande politica che – purtroppo soltanto a volte – siamo stati capaci di esprimere.