RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

sabato 7 gennaio 2017

#Satira CASALINGHE DISPERATE DELL' ISIS - UN VIDEO SATIRICO DELLA BBC ...



"MI COPI SEMPRE I VESTITI !" sbraita Zaynab all' amica che indossa il suo stesso giubotto esplosivo...
"MANCANO SOLO TRE GIORNI ALLA DECAPITAZIONE E NON SO ANCORA COSA METTERMI..." si lamenta Afsana.

BREXIT: L' ECONOMIA INGLESE VA BENE - AUTOCRITICA DEGLI ECONOMISTI CHE AVEVANO FATTO TERRORISMO PRIMA DEL VOTO - RICORDARSELO QUANDO SARA' LA VOLTA DELL' USCITA DALL' EURO E DELL' ABOLIZIONE DEL JOB ACT -


Sull' autorevole Corriere della Sera del 7 gennaio leggiamo dell' autocritica del responsabile economico della Bank of England che aveva previsto disastri con la Brexit: in realtà l' economia inglese va molto bene (clicca QUI per l' articolo che riportiamo anche sotto).
Ogni tanto la verità fa capolino fra quintali di disinformazione che con le nostre modestissime forze cerchiamo di contrastare.


Ricordate le previsioni tremende prima e subito dopo il voto "populista" che ha determinato la Brexit?
Erano tutte balle, esattamente come le catastrofi previste per la vittoria del NO al referendum italiano e per la vittoria di Trump: tutti voti  che non piacevano alle èlite finanziarie, perchè contro i loro interessi, e pertanto denigrati sui media con l' utilizzo del termine "Populista" in senso spregiativo.

La realtà è però ben diversa come vedimo dal seguente articolo, ed anche dall' articolo di Repubblica (clicca QUI), che dovremo tener ben presente quando si tratterà dell' uscita dall' Euro che sta massacrando l' economia (tranne quella tedesca) o dell' abolizione del Job Act che fa parte dello stesso quadro economico:





Il mea culpa in ritardo del capo economista

Andy Haldane non è stato l’unico in verità ad avere disegnato scenari da incubo:
il fronte pro Unione ha agitato a lungo l’arma (perdente) del terrore allo scopo
di convincere gli elettori incerti     -  di FABIO CAVALERA 

A distanza di sei mesi e con in mano i dati della produzione, dell’occupazione e della Borsa di Londra, Andy Haldane alza le mani e chiede scusa: più che i mercati e più che l’economia britannica traballano gli economisti che leggono male il futuro. Nella sfera di cristallo gli analisti hanno visto numeri macroeconomici da crollo ma che in realtà «il comportamento dei consumatori e il mercato» hanno marciato in direzione opposta. Il sistema non è imploso. Così Andy Haldane fotografa lo stato dell’arte (positivo) e paragona gli scivoloni degli economisti (2008 e 2016) alla figuraccia a cui si espose il guru della meteorologia Michael Fish. Il quale dalla Bbc il 15 ottobre 1987 ai timori di un uragano rispose: non ci sarà. Invece arrivò e portò 19 morti nel Sudest inglese. E da allora ecco il ritornello: «L’errore di Michael Fish». Ripescato da Andy Haldane.
Il quadretto post Brexit è quanto mai confuso. Chi ha cavalcato lo strappo con l’Europa legge soddisfatto le statistiche 2016 con la crescita del Pil attorno al 2 per cento. Al contrario chi rimpiange l’Europa continua a immaginare il buio. La cosa migliore è attenersi alla realtà e il capo degli analisti della Banca d’Inghilterra la riassume così: «C’è una distanza interessante fra l’alto grado di incertezza politica e ciò che vediamo nell’economia». Insomma, non siamo sul precipizio.
Brexit uguale disastro. O Brexit uguale rinascita. Chi osserva da lontano la disputa e di sicuro avrà apprezzato la marcia indietro di Andy Haldane è sua maestà, nonostante gli acciacchi influenzali del Natale e Capodanno. Con gli economisti ha un conto in sospeso. Impossibile non ricordare, nel pieno della crisi finanziaria, il 5 novembre 2008, la sua visita alla prestigiosa London School of Economics quando agli accademici chiese: «Come mai nessuno ha previsto? Terribile». Un nutrito drappello di professori inviò poi a Elisabetta una lettera per spiegarle la fallibilità della scienza economica. Lo scherzetto della mancata lettura del tracollo finanziario ai Windsor è costato 25 milioni di sterline. Pure a Buckingham Palace hanno bisogno di capire per tempo. Gli economisti si diano una raddrizzata.
6 gennaio 2017 



SI PENSI ALLA NAVALMECCANICA (INVECE CHE ALLE SPIAGGE DI SABBIA A BARCOLA ED AI MUSEI IN PORTO VECCHIO) - UN INTERVENTO


Pubblichiamo anche noi un intervento di Ladi Minin, ex dipendente della Grandi Motori Trieste ora Wartsila e studioso di navalmeccanica, sulla necessità di sviluppo dell' industria navalmeccanica a Trieste.
Trieste ha subito una pesantissima deindustrializzazione che l' ha portata ad avere solo il 9% del PIL da industria, mentre il Friuli, già agricolo, supera il 21% e l' Italia nel suo complesso circa il 18%, aree sottosviluppate e montuose comprese, QUI.

E' un parametro insostenibile che è concausa del pesante calo demografico.


Ora l' Autorità Portuale si dimostra interessata a sviluppare insediamenti produttivi nell' ambito dei Punti Franchi ed appoggia la richiesta di No Tax Area da affiancare all' extraterritorialità doganale, che li renderebbe estremamente convenienti.


Ma la politica triestina non ne parla neanche preferendo disquisire di sciocchezze che vanno dalle spiagge di sabbia a Barcola ai Musei in Porto Vecchio, dai Mercati Ittici in Punto Franco ai Central Park sull' "incantevole Water Front" ed amenità del genere.
Incuranti dei costi spaventosi per il Comune, privo di risorse (ed anche di un bilancio adeguato), dovuti alla proprietà delle aree "sdemanializzate" di Porto Vecchio.

La base di queste follie è l' ipotesi, del tutto campata in aria, del turismo come motore economico di Trieste, oltrechè il considerare i
 cittadini alla stregua di rimbambiti interessati solo a passeggiate e giardinetti ma insensibili allo sviluppo economico necessario alla città e alle nuove generazioni.

Infatti il Turismo può essere solo una fonte SECONDARIA di reddito rispetto alla produzione di cui portualità, logistica e navalmeccanica, e loro indotto anche di servizi e finanziario, sono sempre stati il centro propulsivo.
Ne abbiamo recentemente parlato recentemente anche QUI (clicca).


Indipendentemente dalle posizioni politiche di ciascuno, l' intervento di Ladi Minin è interessante perchè valorizza notizie e ragionamenti trascurati da stampa e politica locale. 

Ecco la lettera di Ladi Minin:

LA POLITICA SUPPORTI IL NUOVO POLO NAVALMECCANICO

Trieste, la nostra città, ha una sola anima storica, quella forgiata negli ultimi due secoli e basata sulle attività economiche e industriali dell'economia del mare e in particolare dalle costruzioni navali e accessorie, sistemi propulsivi in primis. É notizia di questi giorni, della probabile acquisizione da parte di Fincantieri, della Stx France e, pertanto, della sostanziale realizzazione si un polo europeo delle costruzioni navali, potenzialmente, secondo il mio parere, il più grande del mondo. E' una bella notizia per Trieste e per tutto il suo territorio circostante, un bel inizio del 2017, che meriterebbe una grande discussione in città, nella nostra Regione, che ricordo, ospita la sede legale, gestionale e amministrativa della Fincantieri a Trieste e il più grande e produttivo cantiere navale europeo, a Monfalcone. Un'occasione, forse l'ultima, da non perdere. Una discussione che potrebbe diventare un campione nazionale, di democrazia matura e di economia, che dovrebbe travalicare tutte le idee e ideologie, riguardanti il lavoro, l'organizzazione sociale e economica, di una comunità, piccola o grande che sia e che dovrebbe riguardare principalmente, la capacità di creare ricchezza, tanto fondamentale, quanto indispensabile, in questo straordinario momento storico, della globalizzazione dei mercati. Un momento, dove la città, dovrebbe recuperare la memoria, fare forza sui tantissimi sedimenti economici, scientifici e culturali, oltreché patrimoniali, ancora presenti, ancora forti e basilari sul territorio, per la sopravvivenza e accettare questa sfida per la crescita, che potrebbe essere un sano stimolo alla Politica, quella con la P maiuscola, ormai assente, da lungo tempo e opporsi all'attuale rinuncia ad uno sviluppo, sociale e economico, in linea con la storia di queste terre e prospettare un futuro certo, alle prossime generazioni.


Ladi Minin Isanav (Istituto studio attività navalmeccaniche) 



venerdì 6 gennaio 2017

LA GUERRA CIVILE IN TURCHIA RIGUARDA TUTTI NOI (SPECIALMENTE A TRIESTE DOVE LA TURCHIA E' MOLTO IMPORTANTE PER IL PORTO) - UN ARTICOLO DI LUCIO CARACCIOLO DIRETTORE DI LIMES


Nel Porto di Trieste non solo arrivano i traghetti Ro-Ro dell' Autostrada del Mare ma anche il Molo VI è controllato da operatori turchi (clicca QUI).

Dopo l’attentato di Smirne, in Anatolia è tutti contro tutti. Vittima delle sue stesse megalomanie e paranoie, Erdoğan ha infragilito lo Stato che dichiara di voler proteggere dai terroristi.
La Turchia è in guerra civile. Nemmeno troppo strisciante.
Già da trent’anni, salvo fragili tregue, il Sud-Est anatolico è destabilizzato dalla rivolta curda, guidata dal Pkk. Guerra a bassa intensità che ha provocato oltre 40 mila morti.
Ma negli ultimi tempi il campo dello scontro si è allargato al resto del paese, concentrandosi nelle grandi città, da Istanbul ad Ankara. Ieri è stata la volta di Smirne, capitale informale della “Turchia bianca” o “Euroturchia”, dove la penetrazione islamista è moderata e lo stile di vita molto più occidentale che nell’Anatolia profonda.

L’attacco al tribunale di Smirne è stato provvisoriamente attribuito al Pkk. Non certo un caso a sé, ma l’ultimo episodio di una sequenza di terrore che sta scuotendo la Turchia, danneggiandone profondamente l’economia (a partire dal turismo) e l’immagine globale.
Sono passati appena cinque giorni dalla strage del night club “Reina”, a Istanbul, attribuita allo Stato Islamico, a suggellare un 2016 particolarmente sanguinoso – oltre 2 mila morti – culminato nel fallito golpe del 15 luglio.
Quale che sia la matrice degli attentati in serie, la Turchia è impegnata in una guerra al terrorismo combattuta lungo due direttrici.


Sul fronte siro-iracheno, contro i curdi locali,
per impedire loro di saldarsi con i curdi anatolici – e di passaggio anche contro gli uomini del “califfo” al-Baghdadi.

E sul fronte domestico, infiammato dalle rappresaglie jihadiste e curde che hanno colpito a Istanbul e a Smirne, con l’opinione pubblica scossa perché colpita nel suo stile di vita.
Quel che è peggio, lo Stato turco sembra vacillare sotto tanta pressione. Alle porte dell’Unione Europea c’è un colosso di 75 milioni di anime – con in pancia oltre tre milioni di rifugiati siriani, iracheni e afghani – che sta sbandando. La sua sorte ci coinvolgerà direttamente.
Al vertice, un leader solitario e solipsistaRecep Tayyip Erdoğan, sostenuto dalla maggioranza dei turchi, sta per varare una riforma costituzionale di taglio ultrapresidenziale.
In primavera, Erdoğan vorrebbe vedere consacrato per referendum il suo rango di presidente-sultano. Nel corso di quest’anno gli elettori saranno forse chiamati a un secondo plebiscito, stavolta per opporre un “no” forte e definitivo all’ingresso nell’Unione Europea: “Questo popolo decide da solo, e da solo taglierà il suo cordone ombelicale” – parola di presidente.

Sarebbe sbagliato concentrarsi solo sulla figura dell’ondivago leader che domina la scena politica da un quindicennio. In gioco è il futuro di un paese chiave che rischia di essere risucchiato nella mischia geopolitica mediorientale e di perdere contatto con l’Occidente, pur restando membro della Nato.
Nei palazzi di Ankara si discetta anzi del ruolo della Cia nella strategia di destabilizzazione del paese, di cui gli attacchi di Istanbul e Smirne sarebbero tappe molto provvisorie. E si rimarca lo scarso sostegno Usa alle campagne militari turche in Siria e in Iraq, punendo la Turchia per il recente avvicinamento alla Russia.
In questo clima giunge la velata minaccia del governo turco di chiudere la base Nato di Incirlik, che ospita 90 testate atomiche americane. Anche se fosse pura retorica, un sintomo della crisi nei rapporti fra Ankara e Washington alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump.
Il primo nemico di Erdoğan, secondo questa lettura, resta il “terrorista” Fethullah Gülen, l’imam che dal suo eremo in Pennsylvania protetto dall’intelligence americana ispirerebbe la strategia della tensione, dopo aver malamente progettato il golpe del 15 luglio.
Risultato: per liquidare l’organizzazione di Gülen, Erdoğan ha fatto il vuoto nello Stato profondo – esercito, polizia, magistratura, intelligence – a caccia dei suoi complici presunti o effettivi. Le Forze armate, orgoglio della Turchia, seconde solo a quelle americane in ambito atlantico, sono indebolite nei mezzi, nella guida e nel morale proprio mentre si chiede loro uno sforzo speciale per combattere le molteplici minacce alla sicurezza nazionale.
La cura si sta rivelando peggio della malattia. Per sradicare i gulenisti il presidente ha infragilito lo Stato che dichiara di voler proteggere dai terroristi.
Questo capitolo decisivo per il futuro della Turchia è solo alle prime righe.



giovedì 5 gennaio 2017

PORTO VECCHIO - CHI SI SOMIGLIA SI PIGLIA: ACCORDO CENTRO DESTRA E SINISTRA (E ITALIA NOSTRA NAZIONALE) - SCOMETTIAMO CHE TRA UN ALTRO ANNO NON CI SARA' NEANCHE UN POSTO DI LAVORO ?


Sulla "sdemanializzazione" con urbanizzazione in chiave turistica di Porto Vecchio Centro Destra e Centro Sinistra superano le divergenze, con la benedizione di Italia Nostra (Nazionale) che è corresponsabile del vincolo archittettonico del 2011 che è concausa  dell' abbandono per l' impossibilità di modernizzare un sito fino allora produttivo.

Salamelecchi di Dipiazza alla Serracchiani a pag.19 del Piccolo: "Lei è in gamba, io altrettanto. E i risultati si vedono»... infatti basta farsi un giro in Porto Vecchio fatiscente...

Nel gennaio del 2014 avevamo lanciato una scommessa/sfida all' allora direttore del Piccolo Possamai che esaltava la "sdemanializzazione" come serbatoio di posti di lavoro e volano di sviluppo economico: se in un anno si fosse creato anche un solo posto di lavoro ci saremmo presentati in mutande di fronte al Municipio sventolando il Tricolore e cantando "Fratelli d' Italia", nel caso opposto Il Piccolo avrebbe dovuto scrivere finalmente la verità.

Sono passati non uno ma due anni e non si è visto nemmeno un posto di lavoro ma il Piccolo ha continuato a disinformare i cittadini ad esempio sul tema cruciale dei COSTI INSOSTENIBILI per il Comune, e ancora nemmeno messi a bilancio, che la proprietà comunale di Porto Vecchio comporta (clicca QUI).


Oppure sull' assenza totale di investitori per l' operazione di urbanizzazione che è assolutamente campata in aria ed antieconomica, oltrechè nociva agli equilibri urbanistici della città.

Ma si continua ad esaltare l' insediamento di fantomatici "Attrattori Culturali Transanazionali" ovvero di MUSEI deserti e la firma di reciproci accordi con allegate moine.

Dicono che è imminente lo stanziamento reale, e non solo sulla carta, di 50 milioni 
(che comunque sono una somma risibile visto che l' infrastrutturazione primaria supera i 300 milioni) dimenticando di aggiungere i pesanti vincoli allo stanziamento che abbiamo illustrato in preecedenti articoli (clicca QUI) .


RAGIONARE E PORTARE DATI DI FATTO NON SERVE: ormai non resta che prenderli in giro e rilanciare la scommessa.

SE GRAZIE ALLA "SDEMANIALIZZAZIONE" TRA UN ANNO CI SARA' ANCHE UN SOLO POSTO DI LAVORO PER UN TRIESTINO (CHE NON SIA UNA CAREGA E/O "CONSULENZE" ;-) ) SVENTOLEREMO IL TRICOLORE CANTANDO L' INNO IN MUTANDE DI FRONTE AL MUNICIPIO.
In caso contrario dovranno dire la verità, ma non ci contiamo.

Saranno passati TRE anni: un periodo di tempo in cui i Cinesi creano le infrastrutture ferroviarie della Nuova Via della Seta  per mezza Asia e il collegamento ferroviario ad alta velocità fra il Porto del Pireo (Atene) e Budapest, ponti compresi.

Qui presenteranno come successoni le reciproche firme di scartoffie e lo scambio di convenevoli
.
E speriamo che i cittadini si stufino: due anni sono già parecchi se si pensa che ne sono voluti solo 10 o 15 per costruire la Grande Piramide di Cheope 4.580 anni fa...


L' unica possibilità reale per Porto Vecchio è l' utilizzo produttivo valorizzando e allargando il Punto Franco, che tuttora esiste, e introducendo la No Tax Area.

Non c'è alternativa ed i fatti lo dimostreranno: purtroppo dopo aver fatto perdere anni a Trieste con le stupidaggini dei partiti nazionali.



martedì 3 gennaio 2017

IL PATRIOTTISMO (CON IL TURISMO) E' L' ULTIMO RIFUGIO DELLE CANAGLIE - IL TRADIMENTO DELLA "CLASSE DIRIGENTE" TRIESTINA ED IL DECLINO ECONOMICO E DEMOGRAFICO DI UNA CITTA' PORTUALE E PRODUTTIVA - TRIESTE HA BISOGNO DI UN "NEW DEAL" -

In ogni inizio d' anno vi sono gli articoli che annunciano le cose principali da fare per il futuro di Trieste.
Sul Piccolo si è espresso Morelli, abituale interprete degli umori del giornale e della sedicente "classe dirigente" di Trieste: secondo loro il futuro di Trieste sarà il turismo, specificatamente tramite l' urbanizzazione in chiave turistica di Porto Vecchio.

NON UNA PAROLA SU PORTO, LOGISTICA, INDUSTRIA, SERVIZI AVANZATI !

Una grave "amnesia" dei giornalisti triestini che è stata efficacemente rilevata da FAQ TRIESTE (clicca).


E' da anni che il "pensiero unico" della "èlite" triestina, propagandato dal Piccolo, trascura le attività produttive per concentrarsi sul turismo come se fosse la panacea per una città come Trieste che, malgrado tutto, ha ancora 200.000 abitanti.
Venezia che ne ha solo 55.000 ed è una meta turistica mondiale non riesce a vivere di turismo e punta con forza allo sviluppo portuale ed industriale, anche con una nuova Zona Franca a Marghera.


Trieste ha da decenni tutti i paramentri vitali negativi: forte calo demografico ed aumento dell' età media, calo di posti di lavoro e giovani che devono andar via per mancanza di lavoro e prospettive, meno del 9% del PIL locale da attività industriale e così via.

E questi continuano col mantra di "Porto Vecchio sdemanializzato e urbanizzato" e riempito di Musei come soluzione, quando è sempre più chiaro che invece rappresenta solo un grosso problema per gli alti costi certi che saranno a carico del Comune in bolletta e per l' assenza di investitori.

Trieste è stata più volte tradita dalla sua "classe dirigente" a cominciare dalle ottuse scelte nazionaliste, ammantate di "patriottismo", che un secolo fa hanno determinato il distacco dal suo entroterra economico e storico naturale dando così l' avvio alla decadenza.
Scelta poi rinnovata nel 1954 e giustificata da una predilezione per l' assistenzialismo e la dipendenza dalle mammelle della lupa romana.

Mai come allora fu evidente la verità delle parole pronunciate nel 1775 da Samuel Johnson: "Il patriottismo è l' ultimo rifugio delle canaglie".


Al "Patriottismo" prima si è affiancato l' oblio,

se non il disprezzo, per il Porto Franco della Mitteleuropa e per il regime doganale dei Punti Franchi, adesso si affianca anche il Turismo propagandato come panacea di tutti i mali: come se Trieste fosse Cortina d' Ampezzo o Lignano.


Come se i Musei, continuamente proposti per Porto Vecchio, fossero una prospettiva credibile ed efficace per superare l' avvitamento della nostra economia.

E' chiaro che il Turismo a Trieste può svilupparsi ancora e rappresentare un dessert ma certamente non potrà mai essere nè il primo, nè il secondo piatto del nutrimento per questa città affamata di lavoro vero e di qualità.

In questa palude della presunta "classe dirigente e politica" locale noi vediamo muoversi nella direzione giusta solo l' Autorità Portuale che pensa allo sviluppo del Porto Franco Internazionale ed anche all' utilizzo produttivo dei Punti Franchi con insediamenti industriali e di servizi, caldeggiando anche l' utilizzo dello strumento della fiscalità di vantaggio con una nuova No Tax Area.

Qui si gingillano con gli addobbi natalizi e ipotesi strampalate su Porto Vecchio mentre a Gorizia con il sindaco in testa si occupano di ottenere una Zona Franca per favorire insediamenti produttivi.

Il vero compito di quest' anno è far emergere un nuovo pensiero che veda il futuro di Trieste non in ipotesi fantaturistiche ma in realtà produttive con lo sviluppo del Porto Franco Internazionale anche come terminal della "Nuova Via della Seta" di Pechino e cerniera fra Oriente, Russia compresa, ed Occidente  con lo sviluppo di attività industriali e di servizi avanzati agevolati dal regime di Punto Franco e No Tax Area.

E di conseguenza agevolare l' emersione di una nuova classe dirigente capace di una nuova proiezione strategica.

Trieste ha bisogno di un "nuovo corso": un autentico "New Deal" e rinnovamento delle prospettive che tenga conto dei nuovi assetti geopolitici e non solo delle "piste ciclabili" e gli "incantevoli water front" di Morelli.


In questo ambito tenteremo di prendere delle iniziative, già nel primo mese dell' anno. 


Ecco il programma economico e politico della "classe dirigente" espresso sul Piccolo:
PORTO VECCHIO E TURISMO SFIDE DECISIVE PER TRIESTE
di ROBERTO MORELLI - Il Piccolo 2/1/2017

Un’avvertenza al lettore. Sta per leggere un commento che avrebbe potuto leggere (e forse lesse) due o tre anni fa, e potrebbe leggere (e forse leggerà) tra due o tre anni. Iniziando il nuovo anno e interrogandoci sui nodi da sciogliere per la città, non ne troviamo di molto diversi da quelli che furono e non ne prevediamo altri da quelli che saranno. I problemi, a Trieste non li risolviamo. Preferiamo lasciarli galleggiare, in attesa che si risolvano da sé e grati delle discussioni infinite che possono generare, in mezzo alle quali sguazziamo a meraviglia. Evitiamo quindi l’elenco delle cose da fare, già evidenti e note a chiunque (definire il futuro della Ferriera, sbrogliare il piano del traffico, rivitalizzare la zona industriale, eccetera), per concentrarci sui due punti chiave collegati tra loro: il porto vecchio e il crescente ruolo del turismo. Il pienone negli alberghi cittadini in queste vacanze natalizie non ha precedenti negli anni passati. In giornate una volta sonnacchiose, lo sciame di visitatori ha animato il centro e i ristoranti e portato un’aura da piccola capitale mitteleuropea, anziché da periferia dell’impero quale eravamo abituati a considerarci. È una felice combinazione di concause decennali: la scoperta di Trieste (prima per le gite scolastiche, poi per le famiglie) come simbolo e crocevia della storia del secolo scorso; la felice posizione geografica tra diverse anime, culture e architetture d’Europa; il fascino peculiare della città; e finanche la chiusura di mete un tempo molto gettonate, dall’Egitto alla Turchia. Il passaparola, che nell’era dei social media è il più potente strumento di marketing territoriale, ha fatto il resto. Trieste non sta facendo molto per attirare questo flusso: accade, punto. La città ha dato vita a quella che potremmo definire una preparazione spontanea: il proliferare di ristoranti e localini, che culminerà con l’apertura di Eataly tra quindici giorni, ha portato un’iniezione di vitalità un tempo inesistente, ben chiara a chi ricorda il “tutto chiuso” e le strade vuote degli anni Ottanta. Catene alberghiere come Starhotel e Hilton hanno investito o meditano d’investire. Il Parco del mare sembra finalmente sul punto di sbloccarsi. Stiamo diventando un’altra città. E non solo il settore della ristorazione, ma anche e soprattutto il commercio, così vitale per l’economia cittadina e oggi piegato dalla crisi, potrebbe ricavarne nuova e insperata linfa. In concreto ciò significa attrezzare la città a misura di visitatore, valorizzando la qualità mitteleuropea che ci caratterizza: investire nell’arredo urbano, completare la riqualificazione del centro, estendere la pedonalizzazione e migliorare le piste ciclabili. Creare percorsi visibili nel flusso d’informazioni, per agevolare un turista oggi sballottato tra musei troppo piccoli e troppo distanti tra San Giusto e Via Cumano. Usare meglio gli spazi culturali, a cominciare dal Salone degli Incanti, oggi depresso e semi-abbandonato tra sporadici eventi a casaccio e senza un filo conduttore. Il turismo può diventare una seria opportunità per Trieste. Ma deve trasformarsi da evento quasi casuale in strategia cittadina: ecco un primo e fondamentale obiettivo per il 2017. Inutile dire che il recupero del porto vecchio rappresenterà la vera svolta di questa nuova identità, oggi solamente abbozzata. L’iter sta procedendo con lentezza intollerabile: la città non ne sa più nulla, né sa se qualcuno sia al lavoro e a far cosa. Dopo che l’advisor Ernst& Young ha completato il suo piano (molto preliminare, molto propedeutico, molto generico) a cavallo della transizione tra i sindaci Cosolini e Dipiazza, è indispensabile dar vita a un progetto generale che eviti il rischio di procedere a spizzichi e bocconi e risulti sostenibile per i grandi investitori privati, senza i quali un disegno ambizioso sarebbe impossibile. Non sussistono problemi politici, poiché il consenso sul recupero è acquisito e la sdemanializzazione è legge. C’è però una quantità enorme di cose da fare su un’area priva persino dei servizi a rete. La regia compete al sindaco, ma una riconversione di tale ampiezza non è alla portata di una piccola amministrazione pubblica e richiede professionalità esterne (l’advisor precedente o altri, previa una gara). Altrimenti ne uscirà una cosa piccola ed eternamente incompleta. E tra un paio d’anni dovremo nuovamente scusarci con il lettore, nel propinargli da capo gli stessi temi irrisolti.