RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

giovedì 22 giugno 2017

TRIESTE CITTA DELLA SCIENZA E' UN' OTTIMA INIZIATIVA DEL MONDO SCIENTIFICO TRIESTINO: METTE TRIESTE AL CENTRO DELLA MITTELEUROPA PER RICERCA E ATTIVITA' D' AVANGUARDIA - L' UTILIZZO DI SPAZI IN PORTO VECCHIO PER RICERCA E ALTA TECNOLOGIA E' UN USO PRODUTTIVO DELL' AREA CHE NON HA NIENTE A CHE FARE CON LO SCIOCCHEZZAIO PARATURISTICO E RESIDENZIALE -


Il mondo scientifico triestino si è attivato per ottenere la "nomination" di Trieste a "CITTA' DELLA SCIENZA" 2020.
Non è solo un titolo onorifico ma porrebbe realmente la nostra città come riferimento della Mitteleuropa per ricerca scientifica e alta tecnologia.
E' molto di più di un onore: è  una possibilità concreta di sviluppo e di importanti ricadute economiche pur essendo di costi contenuti.


Il previsto utilizzo, in alcuni casi temporaneo, di limitate aree di Porto Vecchio nel comprensorio del 
cosiddetto Polo Museale è perfettamente compatibile con l' utilizzo produttivo che sosteniamo da sempre soprattutto quando parliamo di realizzare una nostra "Silicon Valley" (vedi i punti 1, 2 e 3 della slide in fondo che proponiamo da anni).

L' insediamento di strutture di ricerca scientifica e tecnologica e di start-up Hi-Tech è indispensabile per un moderno sviluppo economico, soprattutto in un porto moderno che non si pone più come sole banchine e logistica ma come fulcro economico del territorio.


Non ci turba che i politici,
come al solito, facciano passerrella facendosi belli con le piume altrui: conta la sostanza.


Ci auguriamo il successo dell' iniziativa e ringraziamo gli scienziati che la hanno promossa.



mercoledì 21 giugno 2017

FANNO A GARA A CHI LE SPARA PIU' GROSSE: PORTO VECCHIO DROGA I POLITICI - ADESSO CI SAREBBERO FILE DI INVESTITORI... (SIC!)


Il Sindaco si dichiara pubblicamente "drogato di Porto Vecchio".
Questa droga deve essere parecchio forte a giudicare dalle dichiarazioni e dai titoloni che leggiamo oggi sul Piccolo (vedi alla fine) e che fanno seguito a decine di altri basati sul nulla.
Già immaginiamo gli investitori "in fila" sotto il Municipio per Porto Vecchio e gli americani e russi (stavolta) con le bave alla bocca per avere il boccone che loro "fa gola".
Diciamo "stavolta" perchè un anno fa gli investitori famelici erano del Dubai (clicca QUI) mentre alla recente inaugurazione della micidiale "rotonda" in v.le Miramare dovevano essere i "cinesi", come aveva dichiarato Dipiazza a Telequattro.


Adesso "una lettera di quelli che hanno fatto Amburgo" diventa di investitori: si tratta di progettisti a caccia di laute parcelle... cosi come a caccia di parcelle era il mitico "advisor" Ernst&Young fatto passare anche allora come una specie di "investitore"...


Poi ci sono "gli austriaci che stanno acquistando tutto" ovvero la Fiera e alcuni palazzi: ma cosa c' entrano con Porto Vecchio? 


Poi il famoso "russo che vorrebbe comprare tutto": a che prezzo e dov' è la "lettera di intenti"?


Inoltre il sig. sindaco ha "chiamato Invitalia": ma ha risposto ? E cosa?


Benissimo: il "Sindaco immobiliarista" invece di rifilare chiacchiere e suggestioni faccia vedere un preliminare o anche solo una lettera di intenti, poi gli crederemo.

Quanto al "soprattutto stiamo lavorando con Msc" si tratta dell' ipotizzato terminal
croceristico all' Adriaterminal dove però abbiamo notato che la Base SAIPEM ha iniziato i lavori di ristrutturazione del
capannone per farci il Polo Mondiale per la Roborica Subacquea: un investimento di tre milioni solo per la parte edile.
Se lo stanno facendo vuol dire che sono sicuri di restarci per un bel po': proprio dove la MSC in partnership con la GMT dovrebbe fare il solo vagamente ipotizzato terminal passeggeri... e allora ?


Siamo ormai esausti di seguire la valanga di annunci e balle su Porto Vecchio che si susseguono da due anni e mezzo: dalla "sdemanializzazione" del dicembre 2014.

Fanno a gara a chi le spara più grosse: dai "centomila abitanti in più e due milioni di turisti all' anno" di Cosolini (clicca QUI) alle odierne file di investitori fantasma al Municipio.


Sono solo chiacchiere di politici per nascondere la miseria della situazione reale:"i 50 milioni di euro promessi dal governo Renzi non si sono ancora visti" come dice sotto lo stesso Dipiazza.

La pericolosissima"rotatoria" in v.le Miramare è stata solo un diversivo: un diversivo estremamente pericoloso perchè costringe

assurdamente a spostarsi a sinistra sulla corsia di sorpasso per mantenere la strada per il Centro e non restare imbottigliati al Magazzino 26 dal divieto di transito: il che è particolarmente rischioso per i motorini .
Infatti il paracarro segnalatore è stato ripetutamente colpito e lunedì 19 mattina addirittura divelto (e adesso parzialmente risistemato).


 Le voragini sul torrente Chiave - chiavica  

continuano a restare in Porto Vecchio a cielo aperto...



Sarebbe meglio se il Sindaco smettesse di fare l' immobiliarista e ricominciasse a fare il suo lavoro rimediando a queste cose banali....

Noi resteremo ad aspettare la materializzazione degli investitori e dei progetti continuando ogni trimestre a segnalare i risultati concreti della "sdemanializzazione" di Porto Vecchio, come facciamo ormai da due anni e mezzo...
Il problema è con questa storia infinita Trieste perde tempo, soldi ed energie inutilmente mentre un riutilizzo produttivo dell' area sarebbe veloce ed estremamente utile.

P.S.
Significativa la parte un cui Dipiazza dice che è contento perchè l' opposizione è blanda e non fa il suo mestiere. Lo sospettavamo.



COSI' PARLO' DIPIAZZA:
"«Sono “drogato” di Porto vecchio. Non sto facendo il sindaco ma l’agente immobiliare». Roberto Dipiazza, a un anno dalla vittoria alle elezioni, sfoggia sicurezza e determinazione. Da dove gli arriva tanto vigore per la sfida delle sfide, quella del Porto vecchio, su cui è appeso il futuro di Trieste? Al forum del Piccolo, in un’ora e diciannove minuti d’intervista, il primo cittadino scopre qualche carta: i 50 milioni di euro promessi dal governo Renzi non si sono ancora visti, ma il rilancio dell’antico scalo sta facendo gola a molti. «Abbiamo una lettera di quelli che hanno fatto Amburgo, abbiamo gli austriaci che stanno acquistando tutto, non solo la fiera ma pure il castelletto di Muggia e il palazzo delle Poste in piazza Vittorio Veneto. Sono venuti anche due fondi di investimento americani e un russo che vorrebbe comprare tutto. Ho chiamato Invitalia. Ma su Porto Vecchio, soprattutto, stiamo lavorando con Msc. Se accade, la città riparte e io il giorno dopo posso dare le dimissioni» sorride il sindaco. Un sindaco che racconta di essere impegnato da mattina a sera a ricevere investitori e a saggiare proposte per lo sviluppo dell’area. Le noie politiche, del resto, quelle che in passato gli toglievano tempo e sonno, sono un lontano ricordo. Così assicura Dipiazza: «C’è un nuovo clima. Non si fa più baruffa (cioè sono tutto d' accordo ndr)»."



martedì 20 giugno 2017

TRIESTE E VENEZIA: DUE PORTI DIVERSI PER ENTROTERRA, MERCATI E MESTIERI DIVERSI - SULL' INTERVISTA ODIERNA DI BONICIOLLI -


Claudio Boniciolli oggi sul Piccolo si lancia in affermazioni azzardate, subito amplificate dai sottotitoli del giornale perchè spingono verso un' unificazione dei porti di Trieste e Venezia, vecchio sogno "nazionale" italiano:
«Venezia e Trieste insistono sullo stesso territorio e sullo stesso retroterra, ed è davvero difficile spiegare, oggi, a un cinese in cosa differiscano dal punto di vista logistico".


Proviamo a spiegarlo noi al cinese, utilizzando le parole del Presidente D'Agostino nell' intervista sul penultimo numero di Limes (clicca QUI):
"Il porto di Venezia lavora con il mercato interno italiano, specialmente con l’export del Nord-Est, mentre Trieste è un porto gateway che lavora al 90% con l’Europa centrorientale e del Nord sulle linee verso l’Estremo Oriente, e che ha alle spalle ampie possibilità di sviluppo di traffico ferroviario."


Ovvero Venezia è un porto "regionale" che ha come retroterra il mercato interno italiano mentre Trieste, che lavora solo al 10% con lo stesso mercato, fa un' altro mestiere: quello di porto internazionale della Mitteleuropa.

Si tratta dunque di due entroterra e mercati ben diversi e la cosa può essere facilmente illustrata all' interlocutore cinese con la mappa dei collegamenti ferroviari del Porto di Trieste qui a fianco.

Inoltre Trieste ha accessibilità nautica  con fondali naturali di 18 metri che Venezia non ha ed ha ampia possibilità di sviluppo di collegamenti ferroviari sia grazie alla rete che ha alle spalle, in parte eredità del vituperato Impero, sia grazie alla possibilità di usare ampiamente operatori ferroviari esteri, come Rail Cargo Austria, al posto della disastrata Mercitalia  (ferrovie italiane), e questo in aggiunta al Porto Franco che è il motivo per cui i turchi ne hanno fatto il capolinea dell' "autostrada del mare".
Venezia invece "
deve fare i conti con il trafficatissimo snodo ferroviario di Mestre, che rappresenta un collo di bottiglia" e non ha il Porto Franco.

Nell' intervista a Limes il Presidente D' Agostino così esponeva l' argomento:

"LIMES Pensa che il porto franco internazionale di Trieste possa aspirare a diventare un terminal marittimo della Bri (Belt and Road Initiative), ovvero delle nuove vie della seta proposta da Pechino?
D’AGOSTINO Sicuramente sì. Come ho detto recentemente, anche in Cina, tentare di entrare in Europa per via terrestre dal Pireo è impresa ardua non solo per le difficoltà di infrastrutturazione ma anche per l’instabilità geopolitica dell’area balcanica, investita da diversi problemi tra cui la crisi dei profughi, con l’aumento dei controlli alle frontiere e i conseguenti rallentamenti dei traffici.
La Cina ha bisogno di un avamposto nell’Alto Adriatico e Trieste è il porto più adatto non solo per gli alti fondali e la posizione geografica ma anche per le infrastrutture ferroviarie che consentono un’importante espansione dei traffici. Ciò è impossibile attualmente a Capodistria, che ha le linee sature, e anche a Venezia, la quale oltre ai fondali bassi, cui si pensava di ovviare con il costosissimo porto offshore di cui non si sente più parlare, deve fare i conti con il trafficatissimo snodo ferroviario di Mestre, che rappresenta un collo di bottiglia.
Il porto di Venezia lavora con il mercato interno italiano, specialmente con l’export del Nord-Est, mentre Trieste è un porto gateway che lavora al 90% con l’Europa centrorientale e del Nord sulle linee verso l’Estremo Oriente, e che ha alle spalle ampie possibilità di sviluppo di traffico ferroviario.."

Questo dopo aver chiarito:

"
LIMES Quale è l’attuale estensione della rete di collegamenti ferroviari del porto di Trieste con l’entroterra europeo?
D’AGOSTINO I collegamenti adesso vanno dal Lussemburgo fino a Budapest, con allacciamenti giornalieri dall’Europa centroccidentale a quella orientale. E ora anche fino a Kiel sul Baltico, con la possibilità di raggiungere la Scandinavia, aprendo di fatto il Corridoio Baltico-Adriatico.
Questo è stato possibile grazie alla riattivazione della dotazione infrastrutturale esistente, che consente a Trieste possibilità di sviluppo ferroviario maggiori rispetto ad altri porti, potenziando le infrastrutture già presenti nel porto ed eliminando inefficienze, costi e tempi della manovra ferroviaria. È stata importante la collaborazione con operatori a forte vocazione ferroviaria come i turchi della Ekol e della Un Ro-Ro, che hanno portato a Trieste il capolinea dell’autostrada del mare utilizzando i vantaggi del porto franco.
Inoltre la nostra posizione di confine ci consente di usufruire di imprese ferroviarie alternative a Mercitalia (Ferrovie Italiane), come Rail Cargo Austria. Abbiamo un’offerta di operatori europei che altri porti italiani non possono avere.".
Con tutto il rispetto per Boniciolli, che ha il merito di aver finalmente avviato il nuovo piano regolatore del porto che adesso è un "plus" per gli investimenti, di aver osteggiato il porto Off-Shore di Venezia e di aver contrastato il "Superporto Trieste-Monfalcone" di Maresca, ci pare evidente come Trieste e Venezia siano porti con caratteristiche, retroterra e "mission" radicalmente diverse facilmente illustrabili, ed illustrate, anche a un cinese digiuno di geografia e storia europea.
Riassumendo, al cinese si può dire: "Se vuoi lavorare solo con una parte dell' Italia, solo con navi medio-piccole e senza Porto Franco vai a Venezia. Se vuoi lavorare con l' Europa con navi di tutte le dimensioni utilizzando massicciamente la ferrovia e se desideri il Porto Franco sia per la logistica che per industrie vai a Trieste."

E non si capisce cosa Trieste abbia da guadagnarci dall' unificazione dei porti e delle autorità portuali con Venezia. Unificazione che, per la sproporzionata forza politica del sistema veneto, finirebbe egemonizzata dagli interessi veneziani (e nazionali) che da sempre sono avversi a quelli triestini visto che le due città gravitano su aree geopolitiche assolutamente diverse e finora antagoniste, come dimostrano anche le recentissime sparate ad alzo zero su Trieste e il suo Porto Franco dell' ex-presidente dell' Autorità Portuale veneziana ed ex-ministro Paolo Costa, con  il suo forte entourage prodiano.
Come dice lo stesso Boniciolli: "La polemica contro la Zona Franca del Porto di Trieste è sempre mantenuta viva da altri porti" con particolare riferimento a Venezia.
Perchè allora unificarsi con chi ti vuole fare le scarpe ed ha maniglie politiche molto più potenti delle tue?

Inoltre un ulteriore maggior inserimento e annullamento del Porto Franco Internazionale di Trieste, che ha una specifica e autonoma personalità giuridica derivante dal Trattato di Pace del 1947, all' interno dell' inefficiente e paralizzante sistema statale italiano in forte crisi strutturale rischierebbe di amplificare problemi e freni allo sviluppo (vedi nostro articolo su Taranto): a Trieste serve autonomia, non dipendenza dallo Stato Italiano al collasso.
Soprattutto se si punta all' utilizzo dei Punti Franchi per favorire insediamenti produttivi ed industriali, con particolare riguardo allo sviluppo tecnologico: Punti Franchi che hanno subito l' ostracismo e le invidie del sistema portuale italiano e che significativamente non hanno ancora visto, a 23 anni di distanza, i Decreti Attuativi previsti dalla legge 84/94.

Come dice Boniciolli stesso con la frase "se fossimo un paese serio" 
... ma l' Italia non è un paese serio da cui si possa desiderare essere governati: è un paese la cui burocrazia soffocante e lenta uccide le imprese già tramortite da una tassazione rapace. 
L' Italia non è la Mitteleuropa del progetto tedesco di Kerneuropa: è la periferia Sud destinata al tracollo.

La posizione di Boniciolli sembra più rispondere a sentimenti "nazionali", rispettabili ma che non condividiamo, che non a logiche di mercato e di sviluppo economico e tecnologico, e il superfluo cenno polemico a "qualche autonomista triestino", in relazione alla nota natura extradoganale dei Punti Franchi, sembra confermarlo.
Non a caso sosteniamo la necessità di completare i Punti Franchi doganali con una No Tax Area o ZES fiscale per favorire insediamenti e sviluppo economico e tecnologico, cosa che il Governo ha appena decretato per i soli porti del Sud italiano.

Quanto all' autonomismo anche il Veneto con il prossimo referendum regionale si appresta a dare seri dolori a chi coltiva ancora anacronistici sentimenti nazionali.


P.S. L' analisi del prof. Sergio Bologna sull' inserto del Piccolo che contiene l'intervista cita come esempio di eccellenza tecnologica e di reindustrializzazione (reshoring) la base SAIPEM per la robotica subacquea che, ricordiamo, è in PORTO VECCHIO nel  Punto Franco rimasto di cui usa i vantaggi. Noi continuiamo a non capire perchè non si decide di utilizzare per insediamenti produttivi ad alta tecnologia e basso impatto ambientale quell' area  che non ha bisogno delle lunghe e costose bonifiche necessarie invece in diverse aree della Zona Industriale indicate come SIN, invece di intestardirsi su progetti campati in aria di urbanizzazione con finalità turistiche. 

TRIESTE E' PIU' VICINA A VIENNA CHE A ROMA, 
E' UN DATO DI FATTO

lunedì 19 giugno 2017

IMPARARE DALLA FUGA DEI CINESI DA TARANTO: BUROCRAZIA E FISCO ITALIANI PERICOLO MORTALE PER TRIESTE TERMINAL DELLA VIA DELLA SETA - NECESSARIA AUTONOMIA AMMINISTRATIVA E FISCALE E ZONA FRANCA -


La catstrofe del Porto di Taranto abbandonato dai cinesi anche della taiwanese Evergreen a favore del Pireo (Atene), con la perdita di 540 posti di lavoro, deve essere di monito a Trieste che si candida a terminale della Nuova Via della Seta marittima.

In un' intervista a Panorama l' ex Direttore Generale della liquidata TCT - Taranto Container Terminal, società gemella della TMT anch' essa con la partecipazione di Maneschi, dichiara: "s
icuramente la storia del porto di Taranto è emblematica per come, in Italia, l’inaffidabilità delle istituzioni possa tenere lontano gli investitori stranieri o, come è successo nel nostro caso, farli fuggire".

E conclude: "occorre fare in fretta, spazzando via ogni lacciuolo burocratico".

Tanto più, aggiungiamo noi, che a Trieste si intendono usare i vantaggi dei Punti Franchi per favorire insediamenti industriali sul territorio oltrechè  per i traffici logistici e retroportuali.

La burocrazia italiana è micidiale per ogni attività che si voglia installare sul suo territorio, sia esso solo "amministrato" o in "piena sovranità  statale", tanto più se accompagnata da un fisco rapace e sproporzionato perchè volto a ripianare un gigantesco debito pubblico nazionale.

Questo è da solo un motivo più che sufficiente per richiedere ampia autononomia amministrativa e fiscale e Zona Economica Speciale per una fiscalità di vantaggio e drastica limitazione degli intoppi burocratici che consenta al nostro Porto e al Territorio di rispondere alle esigenze dei mercati internazionali che non possono adeguarsi alle follie burocratiche italiane, all' ignavia di una classe politica da Terzo Mondo e alla consolidata inefficienza delle istituzioni italiane.

Proponiamo qui l' articolo di Panorama che deve essere uno spunto di approfondita riflessione se non vogliamo perdere l' ultimo treno che la storia ci mette a disposizione: quella della Nuova Via della Seta.



COSI' I CINESI SONO FUGGITI DA TARANTO

di Mimmo Mazza - Panorama 15/6/17

Gli operatori dell’Estremo oriente avevano puntato sul porto già 20 anni fa, ma l’immobilismo delle istituzioni li ha fatti scappare. La città ha sprecato la sua grande occasione e 540 persone hanno perso il lavoro. Difficilmente, dice un manager testimone di quel flop, qualcuno ci riproverà


 Mentre gli imprenditori dell’Estremo Oriente fanno shopping in Italia, passando con disinvoltura dal calcio all’acciaio, il porto di Taranto, che quasi 20 anni fa fu scelto dal gruppo Evergreen, compagnia marittima di Taiwan leader nel settore della movimentazione e nel trasporto dei container, quale punto di approdo delle navi oceaniche, langue e i 540 portuali rimasti senza lavoro sperano di avere un futuro con l’agenzia di riqualificazione varata recentemente dal governo. Oggi le lunghe banchine vengono spazzate via dal vento mentre le enormi gru, passate dalla Taranto container terminal  (Tct, costituita in partnership dalla Hutchison Whampoa di Hong Kong, Evergreen e gruppo Maneschi di Trieste) all’Autorità portuale per 18 milioni di euro in sede di conclusione dei rapporti di concessione, sono ferme e inutilizzate. «Siamo stati tra i pioneri in Italia, ma evidentemente eravamo troppo avanti» mastica amaro Giancarlo Russo, ex direttore generale della Taranto container terminal e attuale vicepresidente di Assologistica. «Non voglio alimentare polemiche, che non servono a nulla, ma sicuramente la storia del porto di Taranto è emblematica per come, in Italia, l’inaffidabilità delle istituzioni possa tenere lontano gli investitori stranieri o, come è successo nel nostro caso, farli fuggire». 
Partiamo dall’inizio. Vent’anni fa Evergreen puntò su Taranto come alternativa a Gioia Tauro, visto che era meglio collegata con autostrade e ferrovia. Nel 2012 Taranto container terminal firmò un accordo con governo, Autorità portuale e istituzioni locali. Poi, vista la lentezza italiana, gli stranieri sono fuggiti. 
Il gigantismo marittimo che contraddistingue le principali compagnie di transhipment imponeva infrastrutturazioni adeguate al porto di Taranto, e peraltro Tct già nell’atto di concessione del 1998 sottolineò la necessità di poter contare su fondali adeguati. Nel 2012, così, firmammo un accordo con il governo per lo sviluppo dei traffici che prevedeva la realizzazione di quattro opere.
Quali?
L’adeguamento della banchina con fondali a -16,50 metri (unica opera al momento completata); il dragaggio, tramite la realizzazione di una vasca di colmata, per poter finalmente ampliare il quinto sporgente (opera non ancora partita); poi i taiwanesi avevano a cuore, per evitare i costi di permanenza oltre il dovuto delle navi in porto, l’adeguamento della diga foranea, intervento indispensabile per scongiurare i fenomeni di risacca in particolari condizioni metereologiche (opera ancora da realizzare); quindi i lavori in radice al molo polisettoriale per riqualificare l’area che era stata utilizzata per la movimentazione delle merci rinfuse (opera ancora da cantierizzare). Le nostre navi sono diventate sempre più grandi, queste opere erano indispensabili.

E invece a cinque anni di distanza, la situazione sembra quasi immutata.
Purtroppo siamo stati costretti a dire addio al porto di Taranto, liquidando la società concessionaria, perché ormai non avevamo più navi in grado di entrare in porto. Evergreen utilizza portacontainer da 14 mila teu, che richiedono un pescaggio di 16 metri, quindi anche l’annunciato 16,50 metri è insufficiente. È tutto scritto nell’accordo del 2012, quando ribadimmo che puntavamo a far arrivare a Taranto le navi dall’Estremo oriente, utilizzando lo scalo quale hub dal quale poi far partire navi feeder ( più piccole, ndr) verso altri porti del Mediterraneo. Un sogno irrealizzato: la mancata realizzazione delle opere ha compromesso tutto. Ma non è colpa dei taiwanesi.
Invece qualche osservatore ha visto nel rafforzamento del porto del Pireo e la sua alleanza con Cosco ( la cinese China ocean shipping company) la vera ragione della scelta drastica compiuta da Evergreen.
Il mondo va avanti. Il traffico è andato verso il porto del Pireo ed Evergreen è entrata nel consorzio con Cosco. Ma non facciamo confusione. Il porto di Taranto non è pronto, questo dato spesso sfugge a chi vuole avventurarsi in analisi. Taranto sembra rimasta indietro. Vicino al terminal container potevano nascere tante cose, come il fantomatico Distripark, oppure Agromed. Si poteva fare un po’ di logistica integrata. Ora è stato pubblicato un bando internazionale per cercare un nuovo terminalista, ma il porto di Taranto ha un difetto di affidabilità agli occhi al mondo dello shipping. L’armatore che intende sposare un porto deve avere garanzie. Taranto ha una buona posizione, è collegato alla rete ferroviaria, ma non basta.
Che cosa manca?
Servono infrastrutture, servizi e produttività. Adesso che sono stati completati i primi 1.200 metri di banchina, va cercato un vettore per utilizzarli. Poi ci stanno altri 850 metri di banchina sui quali si può fare logistica integrata, generare numeri importanti. Ma occorre fare in fretta, spazzando via ogni lacciuolo burocratico.

Clicca QUI per l' originale


PORTO VECCHIO E FERRIERA IN ALTO MARE A DUE ANNI E MEZZO DALLA "SDEMANIALIZZAZIONE" E A UN ANNO DI DIPIAZZA - DI FALLIMENTO IN FALLIMENTO FINO AL NAUFRAGIO BIPARTISAN DI UNA CLASSE POLITICA INCOMPETENTE


Celebriamo ufficialmente i due anni e mezzo dalla "sdemanializzazione" di Porto Vecchio del dicembre 2014 e un anno di giunta Dipiazza che all' entusiasmo per l' urbanizzazione in chiave turistica di Porto Vecchio ha aggiunto l' impegno per la chiusura dell' "area a caldo" della Ferriera e/o la fine dell' inquinamento.

Nulla di fatto: ciacole (elettorali) non fa fritole.....

Riguardo Porto Vecchio sdemanializzato, cavallo di battaglia del PD montato entusiasticamente anche dal Centro Destra e da Dipiazza, abbiamo gìà parlato dello sbandieratissimo cosiddetto "masterplan" di Ernst & Young (clicca QUI) presentato gioiosamente il 30 maggio scorso da Dipiazza con a fianco Cosolini.


Oggi sul Piccolo arriva l' ammissione di Piero Camber, capoguppo del Centro Destra al Consiglio Comunale, che su Porto Vecchio bisogna ricominciare da capo anche perchè l' elaborato di Ernst & Young è "puerile" malgrado il costo non puerile di € 170.000 (vedi in fondo).


Queste le parole del bollettino della disfatta:
Piero Camber : "Dal punto di vista strutturale, invece, c’è tutto il nodo Porto vecchio. Cioè ci chiediamo come imbastire la ripartenza visto che il piano di cui disponiamo,lautamente pagato, è puerile. Nemmeno in inglese lo hanno fatto".



Perchè Dipiazza alla presentazione del 30 maggio 
invece ne ha tessuto le lodi sperticate e ha fatto i complimenti a Ernst & Young ?

Cosa aspetta la Corte dei Conti ad intervenire per chiedere ragione dello spreco di denaro pubblico per un elaborato definito, giustamente, "puerile" ?

Bene, per un riutilizzo produttivo  di Porto Vecchio non occorre ricominciare da capo: basta riestendere il Punto Franco doganale rimasto sulla fascia costiera aggiungendovi una ZES fiscale come stanno facendo con il recente decreto del Governo nei porti del Sud italiano.

Perchè non unire la città in una battaglia concreta e realistica per la Zona Economica Speciale per promuovere insediamenti produttivi in Porto Vecchio e negli altri Punti Franchi invece di inseguire inutilmente  chimere turistiche e di un urbanizzazione di un area priva delle costosissime infrastrutturazioni primarie?

RESTITUIAMO PORTO VECCHIO ALLE ATTIVITA' PRODUTTIVE !

Sul fronte dell' area a caldo della Ferriera anche qui nulla di fatto: l' inquinamento continua e mentre alcuni comitati da anni impegnati sull' argomento iniziano una protesta per chiedere le dimissioni del Sindaco Dipiazza ad un anno dal suo insediamento che non ha prodotto risultati concreti malgrado le promesse.


Sull' argomento interviene anche il sito FAQ-Trieste con tre interessanti post (clicca sui titoli):

CAUSE MILIONARIE SE IL SINDACO INTERVIENE SULLA FERRIERA ? 


FOTO CRONACA DI TARANTO TRIESTE : SIDERURGIA E PORTO



Se i voti si continuano a dare per simpatia o antipatia e non sulla base dei risultati non si viene fuori da questo pantano bipartisan:

LA CLASSE POLITICA DI TRIESTE NON E' UN ANIMALE INTELLIGENTE...