RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 25 agosto 2017

#TRIESTE ZONA INDUSTRIALE: 75 ETTARI SU 500 DEL SITO INQUINATO NAZIONALE PASSANO "SOTTO" LA REGIONE PER TENTARE DI SBLOCCARE LE PRATICHE FERME DA 14 ANNI - LA RIPROVA CHE IL TERRITORIO DI TRIESTE DEVE ESSERE AUTONOMO PER POTER GESTIRE CON EFFICIENZA LO SVILUPPO INTORNO AL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE: PROVINCIA AUTONOMA COME BOLZANO.


In realtà, contrariamente a quanto detto dal titolo del Piccolo, la Regione non "si accolla" alcuna bonifica del Sito Inquinato Nazionale che giace dal 2003, semplicemente diventa l' ente che gestisce le pratiche al posto del ministero.

Si tratta di un tentativo di ridurre parzialmente la burocrazia, particolarmente pesante a livello nazionale, che sta assassinando lo sviluppo economico paralizzando la Zona Industriale con adempimenti allucinanti e costosi per gli imprenditori.

Già l' EZIT è stato fatto fallire con una vicenda kafkiana: lo stato che richiede tasse arretrate non dovute a un Ente Pubblico NON economico.


Adesso preso atto che nulla si è mosso in 14 anni di Sito Inquinato Nazionale si tenta di accorciare la catena burocratica ponendo in capo alla Regione la gestione delle pratiche di un' area particolarmente critica per lo sviluppo retroportuale del Porto Franco Internazionale di Trieste e per l' utilizzo industriale dei Punti Franchi.
Iniziativa positiva che ha visto la spinta dell' Autorità Portuale ma pur sempre un palliativo.

Ieri, in relazione alle inefficienze della ricostruzione post-terremoto di Amatrice, parlavamo della necessità di un governo autonomo del Territorio per consentire lo sviluppo delle potenzialità del Porto Franco Internazionale, oggi ne abbiamo l' esempio: per sveltire prendono la strada del decentramento delle competenze.

Se, invece della Regione che ha comunque una burocrazia pesantissima, la gestione dell' area industriale che interessa più comuni fosse affidata ad una Provincia Autonoma Speciale con le prerogative di quella di Bolzano tutto sarebbe più semplice e veloce.

Ribadiamo che non è un caso se Brema e Amburgo sono tuttora Città-Stato portuali autonome federate alla Germania: i territori intorno ai porti internazionali devono essere in grado di rispondere velocemente alle sollecitazioni provenienti dai mercati globali e non essere paralizzati da burocrazie bizantine e irriformabili come quella italiana.


Si dice che la PROVINCIA AUTONOMA SPECIALE DI TRIESTE simile a quella di Bolzano richiederebbe una difficile modifica costituzionale.
Ricordiamo che in ottobre ci saranno i referendum per l' autonomia regionale del Veneto e della Lombardia e che si sta proponendo un altro referendum per la separazione di Emilia e Romagna: tutte modifiche costituzionali.
Su questa scia e su queste modifiche costituzionali può inserirsi efficacemente anche quella che riguarda Trieste.

Ecco il testo dell' articolo del Piccolo che riporta coi piedi per terra il titolo come al solito fuorviante:


Settantacinque ettari su un totale di 500: una sorta di grande “U” che segue il percorso delle tre sponde attorno al Canale navigabile. Con 23 aziende interessate. Così una parte del Sin (Sito di interesse nazionale) diverrà Sir. Dove l’enne di “nazionale” lascia il posto all’erre di “regionale”. Il gioco di parole annuncia - o meglio conferma - un’importante novità nello stagnante paesaggio delle bonifiche triestine, in quanto il Governo ha accettato che la Regione Fvg possa prendersi direttamente in capo la gestione delle procedure in una rilevante porzione del Sito. Lo ha fatto ieri mattina nel quadro della Conferenza dei servizi convocata sull’argomento dal ministero dell’Ambiente, partecipata anche mediante la videoconferenza allestita nella sede della direzione regionale competente. Insomma, dopo oltre 14 anni dalla perimetrazione descritta da un decreto del ministero dell’Ambiente risalente al febbraio 2003, un nuovo decreto dello stesso dicastero provvederà a ridefinire i confini del Sito inquinato, stabilendo cosa sarà di competenza regionale e cosa resterà di attribuzione governativa. L’auspicio dell’assessore Sara Vito è che il provvedimento ministeriale venga approntato in autunno, in modo tale che la Regione riesca a subentrare entro la fine dell’anno. Già in giugno la Regione Fvg aveva preso l’iniziativa politica e amministrativa dell’operazione con una dichiarazione della stessa Vito, sollecitata anche dal fatto che la medesima Regione aveva avocato a sè i compiti anticamente svolti dal liquidando Ezit. Per sbloccare un imbarazzante impasse che comprime volontà e opportunità espansive delle imprese, rallentate da un incredibile groviglio di passaggi burocratici, la giunta regionale ha imboccato l’impegnativa strada di farsi “sportello”, accorciando parzialmente - perchè non tutto il Sito è coinvolto - le distanze tra le aziende e Roma. Finchè una delibera giuntale, votata lo scorso 17 luglio su proposta della Vito, metteva en forme la volontà politica: Trieste chiedeva a Roma di sostituirsi al ministero dell’Ambiente nella gestione delle pratiche bonificatorie riguardanti una zona circoscritta del Sin, quella che avvolge il Canale navigabile, dove sono insediate alcune importanti realtà produttive triestine (Sim, Frigomar, Autamarocchi, Redaelli, alcuni terminal portuali tra cui quello che era gestito da Italcementi e che dovrebbe passare, Tar permettendo, a Wärtsilä). Anche l’ex Ezit è interessato perchè titolare di terreni per 25 mila metri quadrati, concentrati nel grande piazzale alla radice del Canale. Alla Conferenza dei servizi hanno partecipato, oltre ai due riferimenti istituzionali, Inail, Autorità portuale, Ezit, Arpa, Comune di Muggia, Soprintendenza. Presenti anche rappresentanti delle imprese coinvolte. L’esito della Conferenza ha evidentemente soddisfatto Sara Vito: «Non faremo sconti nell’istruire le pratiche, ma se non altro le aziende, che operano attorno al Canale, risparmieranno un passaggio. Per la Regione è una “prima” e valuteremo come organizzarci per affrontare questo impegno (speriamo meglio del solito... ndr.)». 

giovedì 24 agosto 2017

L' IMMANE PESO DELLA BUROCRAZIA ITALIANA - AD UN ANNO DAL TERREMOTO RICOSTRUZIONE IMPANTANATA NELLE CARTE - DALL' INCHIESTA DELL' HUFFINGTON POST TRAIAMO UN INSEGNAMENTO: SE VOGLIAMO CHE PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE E TERRITORIO INTERAGISCANO POSITIVAMENTE CI VUOLE TANTA AUTONOMIA.


Ad un anno dal terremoto di Amatrice l' Huffington post ha pubblicato un' inchiesta sui terribili ritardi nella ricostruzione che lascia allibiti e che riproduciamo sotto (clicca QUI).
Solo il 15% delle casette consegnate, solo 33 stalle su 1.400 attese, tutte le promesse non rispettate.
Un groviglio inestricabile di ordinanze e burocrazia.


Che riflessione fare su tutto questo, oltre alla solidarietà con le popolazioni colpite?
Che con il sistema burocratico e amministrativo dello Stato Italiano, chiaramente degenerato e irriformabile dopo anni di fallimenti, non solo non è possibile affrontare le emergenze ma è anche impossibile governare un territorio in sintonia con la velocità dei tempi attuali.


Perchè i benefici dello sviluppo del Porto Franco Internazionale di Trieste ricadano sul territorio è necessaria un' efficace sinergia e tempistica tra Porto, che deve rispondere rapidamente agli stimoli del mercato internazionale e Territorio: questo la lentezza e inefficienza dell' apparato statale italiano non lo consentono.


Per quanto riguarda Porto e Punti Franchi il recente Decreto Attuativo, mettendo in capo all' Autorità portuale tutte le procedure, ha velocizzato i tempi ed aumentato considerevolmente l' efficienza.
Ma per il Territorio siamo ancora ai tempi dei carri a cavallo complicati da un uso pervasivo e oppressivo delle scartoffie.

Per questo è necessario che il Territorio di Trieste abbia il prima possibile una forte autonomia e capacità decisionale ed operativa. 

Se vogliamo che i benefici di un nuovo sviluppo del porto ricadano su tutto il territorio, oltre a trattenere il 100% del gettito fiscale, bisogna rendere snella ed efficiente l' amministrazione.
Non è un caso se i grandi porti del Nord sono inseriti in Città-Stato autonome, come Brema e Amburgo federate alla Repubblica di Germania.


Osserviamo quello che già c'è: la Provincia Speciale Autonoma di Bolzano che funziona bene e trattiene il 90% del gettito fiscale (la Regione Sicilia invece trattiene il 100% ed ha competenze sull' Ordine Pubblico).
Vista l' urgenza di una ripresa economica locale, una Provincia Autonoma Speciale di Trieste, come quella di Bolzano, sarebbe una soluzione transitoria auspicabile così come l' implementazione di una No Tax Area fiscale da affiancare all' extraterritorialità doganale dei Punti Franchi.
Un primo obiettivo sulla strada della rinascita di Trieste e del suo territorio.
Pensiamo che i prossimi referendum sull' autonomia di Veneto e Lombardia daranno impulso a questa proposta.

Ecco l' inchiesta sulla ricostruzione:

La selva dell ordinanze e il dedalo delle responsabilità di cui nessuno oggi vuole prendersi la paternità

A un anno dal sisma, l'inchiesta di Huffpost


"Casette entro sette mesi". Il 3 settembre 2016, una decina di giorni dopo il sisma del 24 agosto, il commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, dava il via alla girandola di annunci. E poco dopo ecco l'allora premier Matteo Renzi: "Tutto tornerà come prima, bisogna fare in fretta e bene". L'11 dicembre Paolo Gentiloni diventa presidente del Consiglio e il 14 agosto, otto mesi dopo la sua nomina, in visita ad Arquata del Tronto ammette: "Si può migliorare e se si può fare di più lo si deve fare". La macchina del post sisma, messa in moto con tanta forza e con annunci carichi di enfasi sull'onda dell'emozione, si è inceppata nei meandri della burocrazia e in una divisione poco chiara delle competenze. I soldi sono stati stanziati, l'impegno economico c'è, ma ciò che è mancato è l'attuazione pratica di tutti i propositi, quindi la traduzione effettiva degli impegni presi. A riprova che il sistema Italia si blocca sempre al momento delle realizzazioni. Resta impigliato in una rete di poteri che si bloccano a vicenda, di competenze che si confondono le une con le altre, di litigi tra istituzioni e amministrazioni e le norme lievitano su se stesse fino ad annullarsi o a scatenare diatribe procedurali che sembrano infinite. È l'Italia del barocco. Il risultato di tutto ciò sono le macerie ancora in strada a urlare il dolore delle persone, la maggior parte delle quali, circa l'85%, priva della casetta provvisoria che gli era stata promessa.
Leggi anche UNA STORIA TROPPO ITALIANA - Blog di Lucia Annunziata
Senza un tetto. Troppi gli annunci disattesi alla luce di un disastro che è stato immane. Quattro le regioni colpite (Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria), 131 comuni coinvolti: è il cratere più vasto nella storia del nostro Paese. Un anno dopo il terremoto con epicentro ad Amatrice, che ha causato la morte di 299 persone, e dieci mesi dopo il sisma che ha colpito Norcia, la ricostruzione promessa dal governo Renzi prima (in carica fino al 5 dicembre) e da quello Gentiloni dopo, non è iniziata, il 90% delle macerie è ancora in strada e le case provvisorie assegnate (Sae – Soluzioni abitative in emergenza) sono meno del 15% di quelle necessarie. Nel rapporto che la Protezione Civile ha inviato alla Commissione Ue, la stima dei danni causati dal terremoto nel Centro Italia è pari a 23,5 miliardi di euro.
Errani lascia, futuro incerto. Questo è lo stato dell'arte, mentre sta cambiando l'assetto della struttura che avrebbe dovuto guidare la macchina. Alla vigilia del primo anniversario del terremoto di Amatrice e poche ore prima del sisma di Ischia, Errani annuncia di lasciare l'incarico smentendo la rottura con il governo: "Non è vero che abbandono il lavoro a metà, è scaduto il mandato". Ci sarebbero dossier e una decina di progetti pronti, viene spiegato. Si parla di progetti, di concreto ben poco. Le competenze di Errani dovrebbero passare a Palazzo Chigi, che a questo punto ha deciso di seguire in modo diretto la vicenda che è ancora un'emergenza. In questa fase di transizione, sindaci e governatori litigano, rinfacciandosi colpe e responsabilità, con i primi che vogliono togliere le competenze alle Regioni dopo un anno di lentezza.
Ancora nella fase uno. È infatti siamo ancora nella fase uno, cioè quella dell'emergenza gestita dalla Protezione Civile e dai governatori delle regioni. Il perimetro dentro cui si muove è il primo decreto terremoto (legge 189) approvato il 17 ottobre dal Consiglio dei ministri guidato da Matteo Renzi. Da allora è stato modificato tre volte: dal governo Gentiloni, dalla legge di bilancio, che ha stanziato 4,5 miliardi per la ricostruzione, e dalla cosiddetta "manovrina", che ha aggiunto fondi per un miliardo ogni anno per i prossimi tre. L'altra cornice è l'ordinanza n.394 firmata dall'ex capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, per la realizzazione delle strutture abitative d'emergenza, cioè le casette. In questa ordinanza le quattro Regioni vengono indicate come soggetti attuatori. Infine c'è il capitolo ricostruzione: Errani ha emesso 35 ordinanze, molte delle quali sono servite però a modificare le precedenti. E così si è ancora nella fase preliminare, i ritardi si sono accumulati mese dopo mese con la complicità dell'intera filiera decisionale e amministrativa.
Soluzioni abitative in emergenza. Il 3 settembre scorso Vasco Errani diceva: "Casette entro 7 mesi, sono la priorità". Tre mesi dopo, a dicembre, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti garantiva che "riusciremo a rispettare i tempi di consegna delle strutture abitative, nel frattempo va avanti il percorso di avvio della ricostruzione". Ma oggi le case che ad aprile, stando agli annunci, avrebbero dovuto ripopolare gli Appennini sono pochissime. Il 7 luglio scorso il premier Gentiloni in visita ad Accumoli per inaugurare due dei 71 alloggi destinati alle famiglie diceva: "Siamo qui insieme per verificare l'avanzamento dei lavori. Si sta lavorando molto qui, come sempre e più in fretta possibile". Ma i dati parlano chiaro. La Protezione civile, attraverso comunicati stampa, rende noto lo stato dell'arte. L'ultimo bollettino è del 4 agosto e si legge: "Proseguono i lavori per la realizzazione delle Sae. A oggi, secondo i dati forniti dalle regioni, sono complessivamente 3.827 le abitazioni d'emergenza ordinate per i 51 comuni che ne hanno fatto richiesta. Sono stati completati i lavori in 30 aree, e sono state consegnate ai sindaci 534 casette, di cui 101 a Norcia, 302 ad Amatrice, 104 ad Accumoli, 26 ad Arquata ed una a Calcara di Torricella (TE). Altre 151 aree ritenute idonee sono state consegnate ai consorzi incaricati della progettazione delle opere di urbanizzazione per la successiva installazione delle Sae, e in 92 di queste sono in corso i lavori".
Il labirinto per le casette. Facendo un rapido calcolo, nel complesso, sono state consegnate meno del 15% delle casette richieste. Ad Amatrice la percentuale sale a 50 ma il sindaco Sergio Pirozzi immaginava che dodici mesi dopo il sisma sarebbe stato tutto diverso: "Credevo che oggi tutte le case sarebbero state consegnate e che almeno il 50% delle macerie non c'era più". La colpa? "In tempo di pace un ritardo di due mesi ci può stare ma in tempo di guerra è un problema". Secondo molti primi cittadini dei comuni colpiti dal terremoto il governo ha sbagliato dall'inizio. Ad Arquata del Tronto a giugno, dopo molte proteste, sono arrivate 26 casette su 200 richieste. Il sindaco Aleandro Petrucci: "Se a settembre non ci saranno le abitazioni rischio di trovarmi in una situazione paradossale, avere una scuola donata dai privati ma nessuno che potrà tornare. In quel caso farò molto di più che dimettermi o andare a protestare con una tenda". Sempre Petrucci spiega che "molto dipende dalla burocrazia". Anche secondo Renzi è colpa della burocrazia: "Le norme sono state fatte, i soldi ci sono e il governo Gentiloni ha fatto ancora di più di quanto fatto da noi. Ma la burocrazia diventa spesso un problema". Per tutti la responsabilità è di questa cosa chiamata appunto "burocrazia". Ma chi ha messo per iscritto l'iter da seguire? L'ordinanza n.394 del settembre 2016, firmata dal capo del Dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio, che si è dimesso l'8 agosto scorso, traccia le linee guida. Le Regioni vengono nominate soggetti attuatori che insieme ai Comuni devono individuare le aree e fare una ricognizione dei fabbisogni del proprio territorio. Ci sono ben dieci passaggi da eseguire prima di aprire il cantiere, ci sono diversi enti coinvolti e tempi lunghissimi perché oltre alle casette servono le opere di urbanizzazione: allacci di fogne, luce e gas e tutto quanto necessario per accogliere le abitazioni.
L'esempio Marche. Nelle Marche, per esempio, funziona così. Prima i Comuni indicano le aree. Poi la Regione, in base alla segnalazione ricevuta, fa le sue verifiche. La Dicomac (Direzione comando e controllo), con i suoi tecnici, le valuta e dà il parere di idoneità, inidoneità o idoneità con prescrizioni. Se tutto va bene, i tecnici tornano sulle aree indicate con le ditte che forniranno le casette e che devono anche fare il progetto di massima sull'urbanizzazione, chiamato layout, entro 5 giorni. Intanto, il sindaco procede con l'occupazione d'urgenza, per poi passare all'esproprio delle aree individuate; l'ordinanza sull'esproprio poi sarà formalizzata dalla Regione. Il progetto arriva quindi al sindaco che, se tutto è a norma, lo approva e lo firma con il dirigente regionale. A questo punto entro venti giorni la ditta privata farà anche il progetto esecutivo per i lavori, che deve essere validato: ci vogliono ulteriori sopralluoghi, e il tempo concesso è un mese. Sempre se tutto è a posto, viene mandato il progetto alla Regione, che fa un decreto e a sua volta lo spedisce manda all'Erap (Ente regionale abitazione pubblica): qui infatti ci sarà la gara per appaltare i lavori di urbanizzazione (con tempi vari, ma solo per l'apertura delle buste con le offerte delle ditte sono previste due settimane). Fatta l'aggiudicazione provvisoria, progetto e documenti tornano all'Erap, dove viene fatta l'aggiudicazione definitiva dell'appalto. A questo punto, l'impresa edile deve elaborare il piano di sicurezza, completato il quale finalmente possono iniziare i lavori.
Clamoroso ritardo. Con una procedura del genere non stupisce che i lavori siano clamorosamente indietro, anche perché non sempre tutto è filato liscio e soprattutto nella fase iniziale non c'erano i tecnici, cioè non c'era il personale che potesse occuparsi di tutto questo. E infatti, nel novembre scorso, una modifica al decreto terremoto ha previsto l'assunzione di 350 persone a tempo determinato per smaltire la mole di lavoro. Intanto però sulle casette tutte le promesse sono state disattese. "Entro Natale daremo le prime venti ad Amatrice", dichiarò il 23 settembre l'allora premier Renzi. Le famiglie amatriciane le hanno avute a marzo. Mentre nelle Marche si è ancora più indietro. "Per le abitazioni siamo in braccio a Cristo – dice Pirozzi - il percorso è ancora lungo e servirebbero procedure da guerra in tempo di guerra" invece ci sono "più soggetti che si occupano delle abitazioni mentre dovrebbe essercene solo uno".
Stalle e bestiame. Stanchi di aspettare, un allevatore terremotato su tre ha deciso di ricostruirsi da solo la stalla per salvare mucche e pecore lasciate all'aperto a causa dei ritardi nell'arrivo delle strutture provvisorie annunciate. Sono i dati che emergono da un'analisi della Coldiretti nelle Marche diffusa in occasione dell'inaugurazione della prima stalla "fai da te" nell'azienda di Vincenzo Massi, allevatore terremotato di Offida. La struttura è stata realizzata in venti giorni grazie all'ordinanza "azzera burocrazia" fortemente voluta dalla Coldiretti dopo i ritardi accumulati nelle consegne dei moduli stalla provvisori che spesso hanno evidenziato problemi. Nell'area dell'intero cratere l'inverno – dice la Coldiretti - è finito con solo 33 stalle in grado di ospitare gli animali sulle 1400 necessarie e si è dovuto cercare una strada alternativa per salvare gli allevamenti dopo una strage di diecimila animali nelle quattro regioni con 3mila aziende agricole e stalle colpite.
Gli annunci sulla ricostruzione. Un mese dopo il terremoto è stato l'allora premier Matteo Renzi a stabilire la prima agenda del post sisma. "Il nostro obiettivo – diceva il 23 settembre in conferenza stampa - per le prime e le seconde case e per gli esercizi commerciali, è riportare tutto a prima del terremoto. La ricostruzione non sarà un fatto strettamente amministrativo. Valorizzeremo le comunità". Nei fatti si è ancora nella fase burocratica della ricostruzione. Il 7 aprile scorso il commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, ha emesso un'ordinanza per regolamentare l'accesso ai fondi destinati al "miglioramento sismico o alla ricostruzione degli edifici ad uso prevalentemente abitativo gravemente danneggiati o distrutti". Stando a quanto si legge alla fine del 2019 o al massimo a metà 2020 tutte le abitazioni e gli esercizi commerciali dovrebbero essere ricostruiti lì dove si trovavano. Ma fino a quando le macerie saranno in strada non è possibile fare alcuna verifica e quindi avviare l'iter. "Non vedo problemi di ritardi. Bisogna contestualizzare e allora pur in presenza di fattori critici come 4 terremoti in momenti diversi – diceva Errani nel giugno scorso - bisogna riconoscere che è stato fatto un lavoro molto importante anche nell'emergenza". Nella pratica funziona così: entro venti giorni dal ricevimento della domanda l'Ufficio speciale deve fare le dovute verifiche. Quindi, nel caso in cui la pratica sia regolare, l'Ufficio speciale, nei successivi sessanta giorni, verifica la conformità dell'intervento alla normativa urbanistica, richiede l'effettuazione dell'eventuale controllo a campione sul progetto strutturale, acquisisce il parere della conferenza regionale [...], propone al Comune il rilascio del titolo edilizio, verifica l'ammissibilità al finanziamento dell'intervento, indica il contributo ammissibile e provvede a richiedere contestualmente il Codice Unico di Progetto (CUP) e il codice CIG dandone comunicazione al Vice Commissario mediante procedura informatica. Il Vice Commissario, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, emette il provvedimento di concessione del contributo o di rigetto della domanda. I lavori di ripristino con miglioramento sismico o di ricostruzione devono essere ultimati entro 24 mesi dalla data di concessione del contributo. A richiesta dei proprietari interessati, gli Uffici speciali possono autorizzare, per giustificati motivi e sentito il Comune competente, la proroga del termine per non più di sei mesi. Per l'erogazione dei contributi, sono previsti 4 step, in base allo stato di avanzamento dei lavori, i primi due del 20% e gli altri due del 30%. Emerge dunque che la procedura richiede tempo, sono necessarie tutte le verifiche del caso e il bollino dell'Autorità anticorruzione. Ma una volta chiusa la procedura, tutto si ferma a causa dell'enorme problema rappresentato dalle macerie non ancora rimosse. Di conseguenza non è possibile procedere alla perimetrazione. Ragione per cui la macchina del dopo terremoto è in forte ritardo.
Macerie in strada. A togliere le macerie è dovuto arrivare l'esercito. Gli abitanti delle zone terremotate hanno anche bloccato la via Salaria portando macigni in segno di protesta. "Ho fatto la guerra all'assessore Buschini della regione Lazio, si vede che lui non è mai entrato nella zona rossa del dolore", dice il sindaco Pirozzi. Adesso si attende l'aggiudicazione di una gara d'appalto da 10 milioni di euro. Dopo uno stallo durato ben oltre le previsioni, solo nel luglio scorso questo bando ha ottenuto il parere favorevole dell'Anac. Il 7 luglio è stata invece aggiudicata una gara per 400mila euro: e i nuovi lavori sono partiti da metà mese. "Ma si tratta ancora di misure tampone, che non bastano certo a segnare un cambio di marcia", criticava Petrucci. Così un emendamento inserito nel decreto legge per il Mezzogiorno ha stanziato altri 100 milioni. "È la dimostrazione, quantomeno, che anche a Roma hanno forse capito che è il caso di darsi una mossa", ha commentato Pirozzi. A passo di lumaca nell'ultimo mese si è arrivata alla rimozione del 10% del totale. Si è ancora molto distanti dai 2,3 milioni di tonnellate di macerie da portare via. Per citare solo qualche dato, ad Amatrice c'è un milione e centro mila tonnellate di macerie, ad Accumuli 400mila e ad Arquata 500mila. "Ma noi amministratori locali – va ripetendo il sindaco Stefano Petrucci – possiamo fare ben poco sulla questione delle macerie. Che è di stretta competenza della Regione". A complicare la situazione, poi, ci si è messo anche l'accumulo di leggi. "All'inizio – spiega il sindaco di Accumoli Petrucci – alle amministrazioni competeva solo la rimozione delle macerie sulle strade e nelle piazze. Le nuove norme hanno stabilito invece che anche i privati potessero, tramite una apposita procedura, delegare al pubblico lo sgombero di detriti e calcinacci dalle proprie abitazioni. E questo ha creato confusione: ci ha costretti a rallentare tutto e fare nuove stime, nuovi piani". Visti i ritardi e la lentezza a rimuovere e trasportare le macerie sono arrivate le Forze Armate. Il 10 agosto è stata infatti costituita un'apposita Task Group del genio dell'Esercito, in concorso con il Dipartimento della Protezione Civile.
Attività commerciali. Nel primo decreto terremoto sono stati stanziati 35 milioni di euro per il sostegno alle imprese. Per il ripristino ed il riavvio delle attività economiche sono stati concessi a micro, piccole e medie imprese finanziamenti agevolati a tasso zero a copertura del cento per cento degli investimenti fino a 30.000 euro. Le attività commerciali rimaste in ginocchio, dopo il terremoto del 24 agosto scorso, secondo una stima della Confcommercio, sono 120. Ad Amatrice il 5 agosto scorso è stato riaperto il supermercato Simply, simbolo del sisma e ora della ripartenza. Si trova nell'Area Food della zona Commerciale "Triangolo", dove ci sono altre 27 attività commerciali, i cui lavori stanno per essere ultimati. È in fase di allestimento anche un'altra zona chiamata Cotral che ospita 43 esercizi. La Regione Lazio ha finora assicurato, per quanto riguarda Amatrice, complessivamente fondi per circa 11 milioni di euro, dei quali poco oltre 4,3 milioni di euro per l'Area "Triangolo" (circa 3 milioni per la realizzazione della struttura e 1,3 in contributi per la ripartenza delle attività). Anche qui però si sono sommati ritardi su ritardi. Il riavvio delle attività commerciali era fissato ad aprile, doveva essere "la Pasqua della rinascita", secondo gli annunci e le speranze del sindaco Pirozzi.
Tasse. La promessa di zero tasse e zero contributi per due anni per i terremotati si è risolta in "una presa in giro?", chiedeva prima di ferragosto il sindaco Pirozzi pronto alle barricate. E poi il primo cittadino di Arquata Aleandro Petrucci: "Prima le macerie, che non si è mosso un sasso per mesi. Poi le casette, che non arrivavano mai. Adesso la no-tax area, che se la rimangiano. Ma che pensano che stiamo a gioca'? Qui la gente non ce la fa più". Il premier Gentiloni in visita ad Arquata del Tronto ha assicurato di no. "Sarei pazzo se dicessi che non ci sono difficoltà. Ma abbiamo un buon impianto sulle zone franche urbane, c'è un sistema finanziario che non è mai stato così importante dal punto di vista finanziario". Nessuna mancata promessa, garantisce: "Siamo sempre stati aperti alle obiezioni e a valutare osservazioni, non abbiamo mai fatto nulla di diverso da quanto contenuto nella legge. Se si può fare di più noi siamo disposti a parlare con il sindaco di Amatrice. L'impegno del governo è spingere il più possibile. Se ci sono cose da aggiustare le aggiusteremo". Un vertice tra il commissario Errani e i tecnici del Mise ha modificato il provvedimento che invece spalmava lo sgravio fiscale su tre anni, accogliendo così le richieste dei sindaci che in fondo erano contenute nel primo decreto terremoto. I passi in avanti e indietro, il balletto di cifre, le norme scritte, poi modificate e dopo cambiate di nuovo hanno caratterizzato questo anno del post terremoto, la cui macchina della ricostruzione non è mai partita inceppata da ritardi, burocrazia e da chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto.

mercoledì 23 agosto 2017

SICUREZZA A TRIESTE: A CHE GIOCO GIOCHIAMO? DOPO L' ENNESIMA VIOLENZA SU DONNE IL 4 AGOSTO ANNUNCIATI "PRESIDI QUOTIDIANI" MA LA ZONA STAZIONE E' FUORI CONTROLLO DA TEMPO E IERI UNA NUOVA VIOLENZA ALLE 20,45 - UNO STATO CHE NON RIESCE A GARANTIRE LA SICUREZZA E' UNO STATO FALLITO -


Non sono passati 20 giorni da quando sono stati annunciati trionfalmente "presidi di polizia quotidiani" (clicca QUI), in risposta ad uno stupro, che nuovamente si registra una violenza su una donna: alle 20,45 di fronte alla Stazione.

Da tempo si sta segnalando che la zona della Stazione è diventata pericolosa.


E' inaccettabile che donne e cittadini non possano transitare in tutta sicurezza in quella zona che oltre alla stazione ferroviaria ospita anche un importante nodo di trasporto pubblico urbano.
Studentesse universitarie fuorisede ci passano frequentemente, anche a tarda sera quando arrivano i treni, ed anche i famosi turisti.


La base del contratto sociale tra cittadini e stato è che ha il monopolio dell' uso della forza con il compito di garantire la sicurezza: se non ci riesce si apre la strada al Far West, all' uso privato della violenza, alla crescita di formazioni neofasciste.


Uno stato che non garantisce la sicurezza è uno stato fallito.
E' palese che lo Stato Italiano, che non controlla parte del proprio territorio in mano alla criminalità organizzata, è incapace di gestire le immigrazioni in corso e le conseguenze sull' ordine pubblico del territorio.


Il Silos contiguo alla Stazione è nuovamente un bivacco di immigrati irregolari senza tetto, attività e controllo invece di essere il tanto strombazzato Centro Congressi che le Cooperative Nord Est si erano impegnate a realizzare (clicca QUI). 



E' inevitabilmente un focolaio di disordine sociale di cui sono prime vittime le donne trattandosi di maschi giovani e soli.

Di fronte a problemi di ordine e decoro pubblici il fatto che il Silos sia proprietà privata delle Cooperative Nord-Est (Lega Cooperative area PD) è ininfluente: le autorità intervengano anche con l' esproprio se necessario.

Possibile che le associazioni femministe tacciano di fronte a queste ondate di stupri e a questa regressione del costume pubblico: aspettano che le donne debbano girare in burka, scortate e armate per essere lasciate in pace?
Già ora c'è il boom di vendite di spray urticanti.


Fa veramente ridere amaramente, in questa situazione, la Serracchiani che "sferza l' Austria" - e il suo governo socialdemocratico e cristiano-sociale - sulle politiche migratorie: "non ghe vanza" come si dice a Trieste.

Il Governo Italiano nel 1954 si è assunto il compito di amministrare Trieste e con esso l' obbligo di garantire la sicurezza dei cittadini che è stata egregiamente tutelata dalla Polizia Civile triestina fino al 1961, anno dell' infausto scioglimento.
Se non ci riesce dichiari fallimento e se ne vada.
Può darsi che altri come (Austria, Svizzera, Germania ad esempio) riescano a fare meglio.



Non ghe vanza...

lunedì 21 agosto 2017

TRIESTE & TURISMO

Dopo anni che ci hanno fatto la testa come un’ anguria ripetendoci che il futuro di Trieste è il Turismo (specialmente in Porto Vecchio urbanizzato), perché è ormai finita come città portuale, industriale e di servizi avanzati, dalla lettura del giornale locale apprendiamo che:

1) Ai triestini non piace fare i camerieri e gli esercenti triestini sono inadatti al turismo perché manca “cultura turistica e dell’ accoglienza” ecc. (Bella scoperta per una città portuale: andate a Genova!).

2) A Trieste c’è un incremento del turismo molto inferiore a quello che si registra in Istria e nell’ Adriatico Nord-Orientale (+ 37% mentre a Trieste è solo del 10,5%) grazie anche alla temporanea modifica dei flussi per la "sicurezza percepita". Clicca QUI.

3) Dopo tante chiacchiere, Trieste viene DOPO Udine e Gorizia per afflusso turistico con solo il 12,4% del totale regionale: un po’ pochino per parlare di “vocazione turistica” di una città che è nata e cresciuta come portuale e produttiva.

4) Il Sindaco si vanta di trattare per destinare almeno una parte di Porto Vecchio ad Outlet commerciale, come al solito per “attrarre turisti” (oltre a distruggere quel che resta del tessuto commerciale cittadino...) mentre proprio oggi sulla prima pagina del Piccolo Francesco Jori informa che ormai l’ Italia è disseminata di “città fantasma” dovuta alla crisi pesantissima di tutti i grandi Centri Commerciali cui i politici nostrani sono molto affezionati e cui concedono continue licenze (nel Friuli Venezia Giulia c’ è una spropositata eccedenza pari a 5 milioni di abitanti su 1.200.000 residenti).

5) Alle 10,30, nella "città turistica" scatta il coprifuoco per decisione della Giunta Comunale.

Noi insistiamo a dire che il futuro di Trieste sta nella riscoperta delle radici: Porto Franco Internazionale al servizio dell’ Europa, utilizzo produttivo e industriale dei Punti Franchi, Servizi avanzati e finanziari, Ricerca scientifica e un pizzico di turismo di qualità, culturale e congressuale, legato alla particolare atmosfera culturale e vivibilità mitteleuropea della nostra città.

Basta bazar, mostre scadenti alla Sgarbi-Buffon, sogni di turismo di massa che non può arrivare comunque perché ha altre destinazioni !
Trieste non è Grado o Sappada !
Una città di oltre 200.000 abitanti non può vivere di turismo.


L' incontro di ieri di Sgarbi con Rossi assessore alla Cul-tura e Turismo
Sgarbi mentre caga parlando al telefono con Buffon della sua mostra, annunciandone la venuta Trieste: AUTENTICO (video delle Iene) clicca QUI
(forse Trieste meriterebbe di più delle defecazioni del Vate)


Il meraviglioso logo turistico scelto dall' Amministrazione Comunale