RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 10 novembre 2017

APPELLO AL PROCURATORE CAPO MASTELLONI A INDAGARE SUI RESPONSABILI DEL COMPORTAMENTO DELLE DOGANE CHE HA COMPROMESSO LA FUNZIONALITA' DEI PUNTI FRANCHI E GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI NEL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE (Seleco, Pezzoli ecc.) - E' in atto una svolta con l' utilizzo produttivo e industriale dei Punti Franchi ed è necessario garantire ai futuri investitori che non vi saranno più abusi volti a depotenziare le caratteristiche del Porto Franco -


APPELLO AL PROCURATORE CAPO CARLO MASTELLONI

Egregio Procuratore Capo Mastelloni,
Lei è conosciuto e stimato per indagini coraggiose come quella sui Servizi, nota come "Argo 16", e per non guardare in faccia nessuno.

Portiamo alla Sua attenzione recenti notizie di stampa che, riprendendo dichiarazioni di Michele Zanetti per 13 anni Direttore dell’ Ente Porto di Trieste, definiscono il comportamento delle Dogane “vessatorio, tradendo così quello che era lo spirito dei Punti franchi”  con comportamenti dei funzionari spesso “invasivi, perchè piombavano anche negli hangar e nei magazzini, quindi fuori dal loro perimetro di azione: comportamenti che non erano accettabili”.  E' una fotografia della situazione paradossale di un Porto Franco extradoganale per diritto internazionale in cui però le Dogane italiane pretendono di dettar legge danneggiando l' intera economia locale (alleghiamo l’ articolo del Piccolo del 19 novembre).

Nello stesso articolo l’ex responsabile del marketing dell’ Ente Porto Danilo Stevanato indica nel comportamento delle Dogane il motivo del mancato insediamento nel Punto Franco di Porto Vecchio di attività come la Seleco e la Pezzoli.
Insediamento che, per quanto riguarda la Seleco, è invece oggi possibile essendo stato chiarito che era vessatorio l’ atteggiamento della Direzione delle Dogane che “riteneva erroneamente che le competenze e le interpretazioni comunitarie (e nazionali) superassero i trattati internazionali” che regolavano il regime di Porto Franco Internazionale.

Le segnaliamo anche l’ intervento dell’ imprenditore Gabriele Querci nel convegno del CLPT del 12 ottobre scorso, alla presenza del Presidente D’Agostino, in relazione alle vicissitudini e ai danni subiti dall’ allora Buton- Stock, che ne hanno portato addirittura alla chiusura, e che fa riferimento anche alla Stock operante in regime di Punto Franco in Porto Vecchio e costretta alla chiusura (alleghiamo la videoregistrazione).

Questi comportamenti  delle Dogane, tali perfino da rendere difficili e conflittuali i rapporti con la stessa Autorità Portuale, come apprendiamo dall' articolo citato, hanno arrecato un grave e ingiusto danno non solo alle imprese e al Porto Franco Internazionale di Trieste, limitandone pesantemente l' operatività e le potenzialità e allontanando operatori ed investitori, ma alla città tutta compromettendone una fondamentale possibilità di sviluppo economico e di creazione di posti di lavoro di cui aveva ed ha estremo bisogno.

Non solo, ma hanno anche concorso in modo determinante all’abbandono e al degrado di una vasta area come quella del Punto Franco di Porto Vecchio in cui già operavano realtà come la Stock e dove altre come la Seleco chiedevano di insediarsi.

Essendo stato appurato senz' ombra di dubbio che i comportamenti delle Dogane segnalati non avevano fondamento giuridico ma anzi erano in violazione del Trattato di Pace del 1947 ed in particolare dell’ Allegato VIII che regola il Porto Franco Internazionale di Trieste, regolarmente recepiti nell’ ordinamento italiano, La preghiamo di voler avviare opportune indagini volte ad appurare le responsabilità di funzionari e Direttori doganali qui operanti, nonchè delle strutture centrali, in merito ai gravi danni di mancato sviluppo arrecati alla città di Trieste e agli abusi di potere messi in atto, pare, in modo continuato e con accanimento.

Non si tratta di sporadici episodi del passato ma di comportamenti continuativi che hanno determinato gravi conseguenze sul presente di tutto il territorio e della popolazione e che possono ripetersi in futuro.
Ed è ingiusto che comportamenti tanto illegittimi quanto gravemente dannosi per la comunità restino totalmente impuniti.

E' in atto un' importante svolta che vede l' Autorità Portuale impegnata a favorire l' utilizzo produttivo e industriale dei Punti Franchi, indispensabile per reagire alla pesantissima deindustrializzazione subita dal nostro territorio, ed è necessario fornire ai futuri investitori la garanzia che non vi saranno più abusi volti a depotenziare le caratteristiche del Porto Franco e che saranno in ogni caso protetti da atteggiamenti arbitrari di Dogane o altri enti.
A questo nuovo clima contribuirebbe, secondo noi, un' indagine giudiziaria sugli abusi pregressi delle Dogane.

Con la fiducia di poter un giorno affermare che “C’è un giudice a Trieste! ”, parafrasando le parole del tenace mugnaio di Posdam che non si arrese ai soprusi. 

Allegati: video e articolo
Il video dell' intervento di  Gabriele Querci

L' articolo del Piccolo del 9/11/17 pag. 24
Quando nel ’77 il no della Dogana impedì il primo sbarco di Sèleco
di Massimo Greco

«Stavolta alla Sèleco è andata liscia. Meglio così, finalmente tempi e mentalità sono cambiati. Ma quarant’anni fa le cose presero una piega differente e l’idea di assemblare televisori con il marchio Brionvega in Punto franco si rivelò inattuabile».
Danilo Stevanato è stato responsabile del marketing dell’Ente porto (Eapt) fino alla fine del decennio Novanta. In precedenza aveva lavorato nello staff di Michele Zanetti, che per oltre tredici anni aveva presieduto l’Eapt.
E Stevanato, che continua a lavorare come consulente, è una delle memorie storiche della portualità triestina, così rammenta quello che avvenne nell’ormai lontano 1977. «Sèleco - dice Stevanato - chiese di insediare in Punto franco, con le relative agevolazioni, una linea di assemblaggio di televisori, che portavano il prestigioso brand Brionvega, marchio di punta nel design “made in Italy”». Il DIBTTJT dell’apparecchio - ricorda ancora - veniva prodotto in Italia, mentre schede, tubo catodico e altri componenti erano importati dall’Estremo Oriente. La Sèleco era sorta nel 1965 a Vallenoncello, sobborgo di Pordenone, come una delle iniziative industriali lanciate da Lino Zanussi: negli anni ’70 aveva acquisito Brionvega, che, poco dopo il mancato sbarco puntofranchista, sarebbe stata ceduta al gruppo Formenti. Torniamo allora a Stevanato per il mesto epilogo della proposta giunta dalla Destra Tagliamento: «Fu l’amministrazione doganale - ricostruisce l’ex funzionario dell’Eapt - a stoppare l’operazione, poichè ritenne che quel tipo di assemblaggio fosse insufficiente per fregiarsi del “made in Italy” e per questo non potesse adire ai vantaggi del Punto franco».
E così l’antenato dell’attuale, accettato assemblaggio televisivo della rinata Sèleco al Magazzino 5 in Porto vecchio s’impantanò sulle rive del Noncello e non raggiunse mai le sponde adriatiche.
Non fu l’unico naufragio puntofranchista: «Lo stesso altolà doganale, per ragioni analoghe, colpì un progetto del gruppo tessile bergamasco Pezzoli, che poi realizzò lo stabilimento di Rabuiese». Giuslavorista, presidente democristiano della Provincia di Trieste, poi presidente dell’Eapt, Michele Zanetti ricorda bene quella stagione a base di “niet” doganali, che finivano con lo snervare i contenuti puntofranchisti. «Era difficile confrontarsi con una struttura doganale, che riteneva erroneamente come le competenze e le interpretazioni comunitarie superassero i trattati internazionali, che avevano chiuso la Prima e la Seconda guerra mondiale». «Intese - riprende Zanetti - che riconoscevano le caratteristiche e i vantaggi del Punto franco triestino. Ma Bruxelles non concedeva spazio alle situazioni particolari come la nostra». Zanetti era assertore di un utilizzo del Punto franco che non limitasse la sua operatività al godimento di determinate prerogative nell’importazione, ma che riuscisse a estendere i vantaggi anche alle produzioni industriali e alle attività finanziarie, «come l’offshore previsto dalla Legge 19/1991 sulle Aree di confine aveva previsto». Quel progetto di offshore sul quale molto s’impegnò un manager assicurativo del calibro di Alfonso Desiata.
Ma nei decenni ’70 e ’80 l’atteggiamento delle Dogane, nel chiaro ricordo di Zanetti, tendeva a essere «vessatorio, tradendo così quello che era lo spirito dei Punti franchi». Gli interventi dei funzionari erano spesso «invasivi, perchè piombavano anche negli hangar e nei magazzini, quindi fuori dal loro perimetro di azione, comportamenti che non erano accettabili».
Nonostante i casi negativi di Sèleco e Pezzoli, qualche impresa riuscì a insediarsi nell’area puntofranchista, godendone i privilegi: «Le scarpe Lucky Shoe, le camicie con il marchio Trieste Textil, le calze Bloch, gli accendini Ronson», elenca Zanetti. «Mentre l’amministrazione doganale tendeva a comprimere le attribuzioni del punto franco e nella stessa Trieste c’era chi non credeva più tanto ai vantaggi derivanti dal regime - conclude l’ex presidente - c’erano altre importanti realtà nazionali che ai punti franchi guardavano invece con interesse. Lo dimostrava il lavoro che Victor Uckmar condusse per Genova». 






giovedì 9 novembre 2017

PORTO FRANCO DI TRIESTE: COME LE DOGANE E LA SOVRINTENDENZA ITALIANE HANNO IMPEDITO SVILUPPO PRODUTTIVO E MODERNIZZAZIONE DI PORTO VECCHIO FACENDOLO DIVENTARE UNA TOPAIA - NE PARLA PERFINO "IL PICCOLO" - E COME HANNO IMPEDITO FINORA L'UTILIZZO PRODUTTIVO E INDUSTRIALE DEI PUNTI FRANCHI ANCHE INTORNO AL PORTO NUOVO (con la complicità della classe politica e dirigente locale)

Dal momento che il tempo è galantuomo e che la verità prima o poi viene a galla, sul Piccolo del 9/11 troviamo un articolo che spiega come la Dogana italiana ha letteralmente sabotato l' utilizzo produttivo dei Punti Franchi respingendo, tra le altre, anche la richiesta della Seleco di insediarsi in Porto Vecchio, cosa che invece adesso sta avvenendo.
Tanto per rispondere a quelli che: "in Porto Vecchio da anni nessuno utilizza il Punto Franco che non serve a niente".


Sarebbe anche interessante conoscere il nome del Direttore delle Dogane di allora per denunciarlo per danni da mancato sviluppo economico della città e abuso di potere visto che non aveva il potere di vietare alcunchè, come si vede dalla autorizzazione appena concessa.


Un altro capitolo da affrontare sarà l' intervento paralizzante della Soprintendenza  del Ministero (belle arti & c.) che con il demenziale "vincolo architettonico" totale su esterni ed interni posto nel 2001, dal sottosegretario Vittorio Sgarbi per evitare la ristrutturazione di alcuni vetusti magazzini, ha impedito ogni ammodernamento funzionale ad attività produttive in Porto Vecchio.
Per non parlare dell' attuale utilizzo vessatorio della "legge Galasso" sul paesaggio per creare continui ostacoli e problemi anche in Porto Nuovo e aree circostanti.


Porto Vecchio è diventato così l' attuale area degradata e tana di "pantigane" che solo l' utilizzo produttivo del Punto Franco può recuperare: come Seleco e Saipem dimostrano concretamente.

I vetusti magazzini vincolati potrebbero forse ora essere finalmente utilizzati per attività ad alta tecnologia, che pochi anni fa non esistevano ancora, ma il vincolo sarebbe comunque da togliere perchè comporta costi eccessivi di ristrutturazione mentre un utilizzo turistico di quell' area è pura fantasia di chi non conosce quel mercato: 32 milioni per restauri del magazzino 26 e adiacente "polo museale" non hanno creato un solo posto di lavoro o turista in più a tre anni dalla mitica "sdemanializzazione".


In un prossimo articolo di recupero della storia recente descriveremo come la sinistra triestina sia decaduta dalle proposte di legge per la Zona Franca del sen. Vittorio Vidali, sostenitore di Porto Franco e autonomia perchè intelligente conoscitore di Trieste e interessato al benessere popolare, alla "spiaggia di sabbia" con "teleferica per monte Grisa" del sen. Russo, passando per la sistematica denigrazione della funzione dei  Punti Franchi definiti "obsoleti e inutili" dai vari Rossetti e Pacorini (candidato sindaco). 

Lasciando così, colpevolmente, la gloriosa bandiera triestina del Porto Franco e dell' autonomia in preda alle strumentalizzazioni dei nazionalisti reazionari e municipalisti alla Camber: finchè un nuovo movimento indipendentista e autonomista è riemerso dagli anfratti carsici, cosa che periodicamente succede come sa chi conosce la nostra città e la sua storia.


Eppure per smentire questi sedicenti progressisti, diventati ormai neo-nazionalisti italiani col centralismo nel DNA, che pontificano rozzamente sull' "anacronismo dell' autonomia / indipendenza  nell' epoca della globalizzazione" e persino sull' inutilità delle Zone Franche, che stanno invece proliferando in tutto il mondo, basta leggere illustri studiosi di geopolitica e geoeconomia come Parag KhannaKenichi Ohmae o Saskia Sassen: per capire che il nuovo mondo passa attraverso la connessione funzionale di piccole aree autonome efficienti, specialmente se dotate di  ZES (zone economiche speciali) e non attraverso la sommatoria di pletorici Stati Nazione centralistici e burocratici in crisi strutturale ormai da decenni, residui storici dell' 800.

Le grandi dimensioni non sono tutto, mentre tutte le esperienze di successo sono di territori di piccole dimensioni interconnessi globalmente: da Singapore ai 26 cantoni autonomi della Confederazione Svizzera, fino alle Città-Stato portuali autonome del Nord Europa come Amburgo (Stato della Repubblica Federale di Germania).

E l' indipendentismo triestino ha sempre voluto l' internazionalizzazione della città come l' insistenza sull' uso di più lingue, sulle bandiere ONU e il rifiuto dei nazionalismi dimostra ampiamente (a chi non è in malafede o rimbambito dall' ideologia): non certamente la chiusura nella "piccola patria" isolata che è invece caratteristica del municipalismo campanilista tipicamente italiano (monolingue).


Oggi perfino Prodi si chiama fuori e dice
su "La Repubblica" che "L' Italia è al baratro": perchè Trieste dovrebbe gettarvisi dentro contenta, insieme al treno di Renzi?
                                                                          

"Il più potente impulso politico verso un mondo connesso è esattamente quello che indicherebbe la direzione contraria: il decentramento" - Parag Khanna "Connectography" (ed.italiana Fazi 2016).



Ecco l' articolo del Piccolo, da leggere e ricordare, che contiene le interviste a Stevanato, attualmente apprezzato consulente sulla portualità, e a Zanetti tuttora ricordato come uno dei migliori amministratori che Trieste abbia avuto in Provincia e al Porto:

Quando nel ’77 il no della Dogana impedì il primo sbarco di Sèleco
di Massimo Greco

«Stavolta alla Sèleco è andata liscia. Meglio così, finalmente tempi e mentalità sono cambiati. Ma quarant’anni fa le cose presero una piega differente e l’idea di assemblare televisori con il marchio Brionvega in Punto franco si rivelò inattuabile».
Danilo Stevanato è stato responsabile del marketing dell’Ente porto (Eapt) fino alla fine del decennio Novanta. In precedenza aveva lavorato nello staff di Michele Zanetti, che per oltre tredici anni aveva presieduto l’Eapt.
E Stevanato, che continua a lavorare come consulente, è una delle memorie storiche della portualità triestina, così rammenta quello che avvenne nell’ormai lontano 1977. «Sèleco - dice Stevanato - chiese di insediare in Punto franco, con le relative agevolazioni, una linea di assemblaggio di televisori, che portavano il prestigioso brand Brionvega, marchio di punta nel design “made in Italy”». Il DIBTTJT dell’apparecchio - ricorda ancora - veniva prodotto in Italia, mentre schede, tubo catodico e altri componenti erano importati dall’Estremo Oriente. La Sèleco era sorta nel 1965 a Vallenoncello, sobborgo di Pordenone, come una delle iniziative industriali lanciate da Lino Zanussi: negli anni ’70 aveva acquisito Brionvega, che, poco dopo il mancato sbarco puntofranchista, sarebbe stata ceduta al gruppo Formenti. Torniamo allora a Stevanato per il mesto epilogo della proposta giunta dalla Destra Tagliamento: «Fu l’amministrazione doganale - ricostruisce l’ex funzionario dell’Eapt - a stoppare l’operazione, poichè ritenne che quel tipo di assemblaggio fosse insufficiente per fregiarsi del “made in Italy” e per questo non potesse adire ai vantaggi del Punto franco».
E così l’antenato dell’attuale, accettato assemblaggio televisivo della rinata Sèleco al Magazzino 5 in Porto vecchio s’impantanò sulle rive del Noncello e non raggiunse mai le sponde adriatiche.
Non fu l’unico naufragio puntofranchista: «Lo stesso altolà doganale, per ragioni analoghe, colpì un progetto del gruppo tessile bergamasco Pezzoli, che poi realizzò lo stabilimento di Rabuiese».

Giuslavorista, presidente democristiano della Provincia di Trieste, poi presidente dell’Eapt, Michele Zanetti ricorda bene quella stagione a base di “niet” doganali, che finivano con lo snervare i contenuti puntofranchisti. «Era difficile confrontarsi con una struttura doganale, che riteneva erroneamente come le competenze e le interpretazioni comunitarie superassero i trattati internazionali, che avevano chiuso la Prima e la Seconda guerra mondiale». «Intese - riprende Zanetti - che riconoscevano le caratteristiche e i vantaggi del Punto franco triestino. Ma Bruxelles non concedeva spazio alle situazioni particolari come la nostra». Zanetti era assertore di un utilizzo del Punto franco che non limitasse la sua operatività al godimento di determinate prerogative nell’importazione, ma che riuscisse a estendere i vantaggi anche alle produzioni industriali e alle attività finanziarie, «come l’offshore previsto dalla Legge 19/1991 sulle Aree di confine aveva previsto».
Quel progetto di offshore sul quale molto s’impegnò un manager assicurativo del calibro di Alfonso Desiata.
Ma nei decenni ’70 e ’80 l’atteggiamento delle Dogane, nel chiaro ricordo di Zanetti, tendeva a essere «vessatorio, tradendo così quello che era lo spirito dei Punti franchi».
Gli interventi dei funzionari erano spesso «invasivi, perchè piombavano anche negli hangar e nei magazzini, quindi fuori dal loro perimetro di azione, comportamenti che non erano accettabili».
Nonostante i casi negativi di Sèleco e Pezzoli, qualche impresa riuscì a insediarsi nell’area puntofranchista, godendone i privilegi: «Le scarpe Lucky Shoe, le camicie con il marchio Trieste Textil, le calze Bloch, gli accendini Ronson», elenca Zanetti. «Mentre l’amministrazione doganale tendeva a comprimere le attribuzioni del punto franco e nella stessa Trieste c’era chi non credeva più tanto ai vantaggi derivanti dal regime - conclude l’ex presidente - c’erano altre importanti realtà nazionali che ai punti franchi guardavano invece con interesse. Lo dimostrava il lavoro che Victor Uckmar (grande fiscalista di origini triestine ndr.) condusse per Genova». 



PORTO FRANCO TRIESTE: COME LE DOGANE E LA SOVRINTENDENZA ITALIANE HANNO IMPEDITO SVILUPPO PRODUTTIVO E MODERNIZZAZIONE DI PORTO VECCHIO FACENDOLO DIVENTARE UNA TOPAIA - NE PARLA PERFINO "IL PICCOLO" - E COME HANNO IMPEDITO FINORA L'UTILIZZO PRODUTTIVO E INDUSTRIALE DEI PUNTI FRANCHI ANCHE INTORNO AL PORTO NUOVO (con la complicità della classe politica e dirigente locale)

Dal momento che il tempo è galantuomo e che la verità prima o poi viene a galla, sul Piccolo del 9/11 troviamo un articolo che spiega come la Dogana italiana ha letteralmente sabotato l' utilizzo produttivo dei Punti Franchi respingendo, tra le altre, anche la richiesta della Seleco di insediarsi in Porto Vecchio, cosa che invece adesso sta avvenendo.
Tanto per rispondere a quelli che: "in Porto Vecchio da anni nessuno utilizza il Punto Franco che non serve a niente".


Un altro capitolo da affrontare sarà l' intervento paralizzante della Soprintendenza  del Ministero (belle arti & c.) che con il demenziale "vincolo architettonico" totale su esterni ed interni posto nel 2001, dal sottosegretario Vittorio Sgarbi, per evitare la ristrutturazione di alcuni vetusti magazzini, ha impedito ogni ammodernamento funzionale ad attività produttive in Porto Vecchio.
Per non parlare dell' attuale utilizzo vessatorio della "legge Galasso" sul paesaggio per creare continui ostacoli e problemi anche in Porto Nuovo e aree circostanti.


Porto Vecchio è diventato così l' attuale area degradata e tana di "pantigane" che solo l' utilizzo produttivo del Punto Franco può recuperare: come Seleco e Saipem dimostrano concretamente.

I vetusti magazzini vincolati potrebbero forse ora essere finalmente utilizzati per attività ad alta tecnologia, che pochi anni fa non esistevano ancora, ma il vincolo sarebbe comunque da togliere perchè comporta costi eccessivi di ristrutturazione mentre un utilizzo turistico di quell' area è pura fantasia di chi non conosce quel mercato: 32 milioni per restauri del magazzino 26 e adiacente "polo museale" non hanno creato un solo posto di lavoro o turista in più a tre anni dalla mitica "sdemanializzazione".


In un prossimo articolo di recupero della storia recente descriveremo come la sinistra triestina sia decaduta dalle proposte di legge per la Zona Franca del sen. Vittorio Vidali, sostenitore Porto Franco e autonomia perchè intelligente conoscitore di Trieste, alla "spiaggia di sabbia" con "teleferica per monte Grisa" del sen. Russo, passando per la sistematica denigrazione della funzione dei  Punti Franchi definiti "obsoleti e inutili" dai vari Rossetti e Pacorini (candidato sindaco). 

Lasciando così, colpevolmente, la gloriosa bandiera triestina del Porto Franco e dell' autonomia in preda alle strumentalizzazioni dei nazionalisti reazionari e municipalisti alla Camber: finchè un nuovo movimento indipendentista e autonomista è riemerso dagli anfratti carsici, cosa che periodicamente succede come sa chi conosce la nostra città e la sua storia.


Eppure per smentire questi sedicenti progressisti, diventati ormai neo-nazionalisti italiani col centralismo nel DNA, che pontificano rozzamente sull' "anacronismo dell' autonomia / indipendenza  nell' epoca della globalizzazione" e persino sull' inutilità delle Zone Franche, che stanno invece proliferando in tutto il mondo, basta leggere illustri studiosi di geopolitica e geoeconomia come Parag Khanna, Kenichi Ohmae o Saskia Sassen: per capire che il nuovo mondo passa attraverso la connessione funzionale di piccole aree autonome efficienti, specialmente se dotate di  ZES (zone economiche speciali) e non attraverso la sommatoria di pletorici Stati Nazione centralistici e burocratici in crisi strutturale ormai da decenni.
Tutte le esperienze di successo sono di piccole dimensioni e interconnesse globalmente: da Singapore ai 26 cantoni autonomi della confederazione svizzera, fino alle Città-Stato portuali autonome del Nord Europa come Amburgo (Stato della Repubblica Federale di Germania).

E l' indipendentismo triestino ha sempre voluto l' internazionalizzazione della città, come l' insistenza sull' uso di più lingue, sulle bandiere ONU e il rifiuto dei nazionalismi dimostra ampiamente a chi non è in malafede, non certamente la chiusura nella "piccola patria" isolata.


Oggi perfino Prodi si chiama fuori e dice
su "La Repubblica" che "L' Italia è al baratro": perchè Trieste dovrebbe gettarvisi dentro contenta, insieme al treno di Renzi?
                                                                          

"Il più potente impulso politico verso un mondo connesso è esattamente quello che indicherebbe la direzione contraria: il decentramento" - Parag Khanna "Connectography" (ed.italiana Fazi 2016).



Ecco l' articolo del Piccolo, da leggere e ricordare, che contiene le interviste a Stevanato, attualmente apprezzato consulente sulla portualità, e a Zanetti tuttora ricordato come uno dei migliori amministratori che Trieste abbia avuto in Provincia e al Porto:

Quando nel ’77 il no della Dogana impedì il primo sbarco di Sèleco
di Massimo Greco

«Stavolta alla Sèleco è andata liscia. Meglio così, finalmente tempi e mentalità sono cambiati. Ma quarant’anni fa le cose presero una piega differente e l’idea di assemblare televisori con il marchio Brionvega in Punto franco si rivelò inattuabile».
Danilo Stevanato è stato responsabile del marketing dell’Ente porto (Eapt) fino alla fine del decennio Novanta. In precedenza aveva lavorato nello staff di Michele Zanetti, che per oltre tredici anni aveva presieduto l’Eapt.
E Stevanato, che continua a lavorare come consulente, è una delle memorie storiche della portualità triestina, così rammenta quello che avvenne nell’ormai lontano 1977. «Sèleco - dice Stevanato - chiese di insediare in Punto franco, con le relative agevolazioni, una linea di assemblaggio di televisori, che portavano il prestigioso brand Brionvega, marchio di punta nel design “made in Italy”». Il DIBTTJT dell’apparecchio - ricorda ancora - veniva prodotto in Italia, mentre schede, tubo catodico e altri componenti erano importati dall’Estremo Oriente. La Sèleco era sorta nel 1965 a Vallenoncello, sobborgo di Pordenone, come una delle iniziative industriali lanciate da Lino Zanussi: negli anni ’70 aveva acquisito Brionvega, che, poco dopo il mancato sbarco puntofranchista, sarebbe stata ceduta al gruppo Formenti. Torniamo allora a Stevanato per il mesto epilogo della proposta giunta dalla Destra Tagliamento: «Fu l’amministrazione doganale - ricostruisce l’ex funzionario dell’Eapt - a stoppare l’operazione, poichè ritenne che quel tipo di assemblaggio fosse insufficiente per fregiarsi del “made in Italy” e per questo non potesse adire ai vantaggi del Punto franco».
E così l’antenato dell’attuale, accettato assemblaggio televisivo della rinata Sèleco al Magazzino 5 in Porto vecchio s’impantanò sulle rive del Noncello e non raggiunse mai le sponde adriatiche.
Non fu l’unico naufragio puntofranchista: «Lo stesso altolà doganale, per ragioni analoghe, colpì un progetto del gruppo tessile bergamasco Pezzoli, che poi realizzò lo stabilimento di Rabuiese». Giuslavorista, presidente democristiano della Provincia di Trieste, poi presidente dell’Eapt, Michele Zanetti ricorda bene quella stagione a base di “niet” doganali, che finivano con lo snervare i contenuti puntofranchisti. «Era difficile confrontarsi con una struttura doganale, che riteneva erroneamente come le competenze e le interpretazioni comunitarie superassero i trattati internazionali, che avevano chiuso la Prima e la Seconda guerra mondiale». «Intese - riprende Zanetti - che riconoscevano le caratteristiche e i vantaggi del Punto franco triestino. Ma Bruxelles non concedeva spazio alle situazioni particolari come la nostra». Zanetti era assertore di un utilizzo del Punto franco che non limitasse la sua operatività al godimento di determinate prerogative nell’importazione, ma che riuscisse a estendere i vantaggi anche alle produzioni industriali e alle attività finanziarie, «come l’offshore previsto dalla Legge 19/1991 sulle Aree di confine aveva previsto». Quel progetto di offshore sul quale molto s’impegnò un manager assicurativo del calibro di Alfonso Desiata.
Ma nei decenni ’70 e ’80 l’atteggiamento delle Dogane, nel chiaro ricordo di Zanetti, tendeva a essere «vessatorio, tradendo così quello che era lo spirito dei Punti franchi». Gli interventi dei funzionari erano spesso «invasivi, perchè piombavano anche negli hangar e nei magazzini, quindi fuori dal loro perimetro di azione, comportamenti che non erano accettabili».
Nonostante i casi negativi di Sèleco e Pezzoli, qualche impresa riuscì a insediarsi nell’area puntofranchista, godendone i privilegi: «Le scarpe Lucky Shoe, le camicie con il marchio Trieste Textil, le calze Bloch, gli accendini Ronson», elenca Zanetti. «Mentre l’amministrazione doganale tendeva a comprimere le attribuzioni del punto franco e nella stessa Trieste c’era chi non credeva più tanto ai vantaggi derivanti dal regime - conclude l’ex presidente - c’erano altre importanti realtà nazionali che ai punti franchi guardavano invece con interesse. Lo dimostrava il lavoro che Victor Uckmar (grande fiscalista di origini triestine ndr.) condusse per Genova». 





mercoledì 8 novembre 2017

IL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE E LE CONSUETUDINI DEL COMMERCIO MONDIALE E DEI PORTI LIBERI: UNA ULTERIORE OPPORTUNITA' EMERSA NEL CONVEGNO PORTO 2.0 DEL CLPT.


Il mai sufficientemente lodato blog Faq-Trieste ha pubblicato i video di tutti gli interventi del convegno Porto 2.0 organizzato dal CLPT Coordinamento Lavoratori Portuali Trieste (clicca QUI) .

Tra questi l' applaudito intervento dell' imprenditore Gabriele Querci, figlio del professor Francesco Alessandro Querci per molti anni docente di diritto della navigazione all’Università di Trieste, ha aperto delle prospettive finora inesplorate sull' applicazione del diritto consuetudinario al Porto Franco Internazionale di Trieste.
Qui ne alleghiamo il video, interessante anche perchè presenta un' esperienza imprenditoriale nel Punto Franco di Porto Vecchio fatta naufragare, e, sotto, un nostro commento.
Il video dell' intervento di  Gabriele Querci

Il ragionamento parte dall' Allegato VIII che ormai tutti, governo e tribunali italiani compresi, ritengono obbligatorio rispettare negli articoli dall' 1 al 20.

L' articolo 1 stabilisce la natura del Porto di Trieste quando al secondo comma parla di "regime internazionale di Porto Libero" e sottoliniamo "REGIME INTERNAZIONALE".

Al primo comma dell' art.1 ne chiarisce le modalità operative: "nel modo come è usuale negli altri porti liberi del mondo".


L' espressione "nel modo come è usuale" può apparire generica nel sistema giuridico italiano ma, al contrario, è estremamente significativa nel sistema giuridico anglosassone (Common Law) che è consuetudinario, cioè non basato su codici rigidi ma su consuetudini e giurisprudenza.
E non è un caso che vi si faccia implicito riferimento proprio nel trattato di Pace redatto dalle Potenze Alleate riguardo un Porto Franco Internazionale.


In tal modo il Porto Franco Internazionale di Trieste appare più soggetto al Diritto Consuetudinario internazionale che non al "diritto romano" e alle leggi nazionali italiane.
Del resto il diritto internazionale non ha codici centralizzati su cui fare riferimento ma si basa su consuetudini e trattati.


La conseguenza importantissima è che i vantaggi offerti dal Porto Franco Internazionale di Trieste dovrebbero dinamicamente adeguarsi a quelli degli "altri porti liberi del mondo" indipendentemente dalle normative italiane ed anche europee su cui il Trattato di Pace è prevalente, oltrechè precedente e comunque recepito.

Dunque si dovrebbe periodicamente fare un indagine su quanto avviene negli altri Porti Franchi del globo, fare una media ed adeguarsi.


Diciamo subito che in praticamente tutti i Porti Franchi ai benefici della extraterritorialità doganale sono affiancate esenzioni fiscali totali o parziali.

Dunque quantomeno una No-Tax area fiscale sarebbe dovuta.
Tesi rafforzata anche dall' art.5 dell' Allegato VIII dove dice :" non si 
possono imporre, su tali merci, dazi doganali o pagamenti diversi da quelli imposti per servizi resi ".

Noi crediamo che una volta insediati a Trieste, con l' uso produttivo dei Punti Franchi, robusti operatori internazionali si faranno portatori della necessità di adeguare il Porto Franco Internazionale di Trieste a quanto avviene nel resto del mondo.

E che questa via pragmatica, sia la strada maestra per ottenere l' ulteriore ampliamento delle opportunità di crescita del nostro porto e della nostra città, connessa con il network mondiale delle Free Zones, ben più importante degli staterelli nazionali in crisi cronica come l' Italia.


Allegato VIII Trattato di Pace 1947 (scarica QUI)

ARTICOLO 1

Al fine di garantire che le strutture portuali e di transito di Trieste saranno disponibili per l’uso in condizioni di parità da tutto il commercio internazionale e dalla Jugoslavia, l’Italia e gli Stati dell’Europa Centrale, nel modo come è usuale negli altri porti liberi del mondo:
a) Ci sarà un porto franco doganale nel Territorio Libero di Trieste entro i limiti previsti dalla o stabiliti in accordo con l’articolo 3 del presente Strumento.
b) Le merci che passeranno nel Porto Libero Di Trieste godranno della libertà di transito come stipulato dall’ articolo 16 del presente Strumento.
Il regime internazionale del Porto Libero sarà governato con le condizioni del presente Strumento.



I CONTI TORNANO: STUDI DIMOSTRANO CHE L' AUTONOMIA COME BOLZANO VALE 18,8 MILIARDI PER IL VENETO E CIRCA 2,6 MILIARDI PER TRIESTE CON IL SUO PORTO FRANCO INTERNAZIONALE

SOTTO LE TABELLE CHE ABBIAMO PUBBLICATO NOI (clicca QUI)

A Trieste abbiamo molto discusso in questi ultimi anni di questioni giuridiche, diritto internazionale e sovranità nazionali ma troppo poco di soldi e di economia.


Siamo in un' epoca in cui la connessione con il resto del mondo e i flussi economici contano più delle sovranità nazionali che sono solo un residuo dei due secoli scorsi.

Città portuali ben connesse globalmente e con elevati livelli di autonomia, come sono Amburgo e Brema autentiche Città-Stato anche formalmente, come lo è Singapore, federate alla Germania, oppure uno dei 26 cantoni indipendenti confederati alla Svizzera, contano più di una sovranità nazionale che ormai è poco più che un fatto simbolico per nostalgici di parate e fanfare.

Il lavoro, che viene fatto in questi ultimi tempi, di riconnessione di Trieste con l' Europa, l' Oriente e tutto il mondo sfruttando anche lo strumento dei Punti Franchi e della rete ferroviaria ereditata dall' Impero è la cosa più importante che è stata fatta a Trieste dall' infausto 1954.


L' annessione forzosa all' Italia cent' anni fa che aveva portato la nostra città a decadere da moderna e dinamica città portuale europea, collegata al mondo intero, a dimenticata città periferica e provinciale di uno stato fallito periferico e provinciale.


Della nazionalità di chi si impegna in questo fondamentale lavoro di riconnessione di Trieste al mondo - principalmente l' Autorità Portuale - non ci interessa nulla: contano i risultati.

Gli amici sudtirolesi, che come noi hanno fatto parte dell' Impero Austro-Ungarico, hanno fatto della provincia autonoma di Bolzano un territorio che è DI FATTO  quasi uno stato indipendente, autogovernato fin nei dettagli e prospero. 

E in questi mesi stanno preparando unitariamente, con la partecipazione anche dei gruppi secessionisti più radicali che fanno riferimento a Eva Klotz e perfino del PD locale- e ovviamente senza gli "italianissimi" fascistoidi-, un nuovo statuto di autonomia ancor più spinta rispetto allo statuto del 1972 (clicca QUI). 

La Provincia Autonoma di Bolzano, che trattiene il 90% delle entrate fiscali, è stata presa a modello dal Veneto che su questi temi ha vinto il referendum del 22 ottobre.
I tecnici veneti si sono messi al lavoro ed è risultato che il Veneto avrebbe € 18.803.000.000 in più.
Ne sono nati diversi articoli di stampa tra cui uno sul Corriere della Sera (clicca QUI) che ha riportato anche la tabella comparativa con Lombardia ed Emilia Romagna che riproduciamo sopra.


Noi lunedì abbiamo pubblicato i nostri conti da cui risulta un Residuo Fiscale del territorio di Trieste pari a quasi 3 miliardi (clicca QUI).

Abbiamo semplicemente applicato al PIL provinciale di Trieste l' aliquota di pressione fiscale media nazionale e aggiunto quanto produce il porto per IVA e Dazi su importazioni UE (che sono contabilizzati a parte) e detratto le spese di tutta la pubblica amministrazione come evidenziata dal report della Regione: il risultato è clamoroso... 3 miliardi di surplus fiscale.

Applicando anche da noi il criterio del 90% trattenuto sul territorio, una autonomia come quella di Bolzano vorrebbe dire circa 2,6 miliardi in più: quasi il doppio di quanto spendono in tutto Stato e Enti locali a Trieste (1.348 milioni) !
Non è certo l' indipendenza formale ma quella sostanziale si, tenendo conto anche delle competenze come quelle rivendicate dal Veneto.

Secondo noi, che tendiamo al pragmatismo, sarebbe il caso di farci un pensierino ed affiancarci a veneti e sudtirolesi che sono già in marcia, in attesa che la "via giuridica" sulla mancata applicazione integrale delle leggi internazionali su Trieste faccia il suo lungo corso.


domenica 5 novembre 2017

Facciamo anche noi i conti: IL TERRITORIO DELLA EX-PROVINCIA DI TRIESTE FORNISCE € 4.348.000.000 DI TASSE A STATO E REGIONE E NE RICEVE SOLO € 1.348.176.000 - TRE MILIARDI PERSI SONO UN BUON MOTIVO PER VOLERE L’ AUTONOMIA – E NON SI PARLI DI PENSIONI PERCHE’ QUELLE SONO DOVUTE E FINANZIATE CON I SALATISSIMI CONTRIBUTI PAGATI DA LAVORATORI E IMPRESE.


In queste settimane, in relazione ai referendum per l' autonomia di Veneto e Lombardia  si è sentito molto parlare del "Residuo Fiscale" (la differenza fra tasse pagate e soldi spesi per servizi ai cittadini) di queste regioni rispetto a Roma. 

La grossa differenza ha spinto gli elettori

veneti a richiedere una forma di autonomia che li avvicini a quanto avviene nella Provincia Autonoma di Bolzano (90% delle tasse trattenute sul territorio) se non in Sicilia (100% delle tasse trattenute in loco). Clicca QUI per l' articolo dell' immagine accanto.

Ma della analoga situazione di Trieste, spesso dipinta a torto e in modo interessato come città assistita, siamo stati i soli a parlare.

Riproponiamo dunque una stima  fra entrate e uscite fiscali del nostro territorio coincidente con la ex-Provincia di Trieste, aggiornandolo con i dati pubblicati da "Regione in Cifre 2017" sul sito ufficiale della Regione FVG (clicca QUI) e  basato  sui dati del PIL provinciale pubblicati dalla Provincia di Trieste  nella "Relazione Previsionale e Programmatica 2015-2017"  (clicca QUI).
Si tratta di stima perchè non sono pubblici e disponibili tutti i dati aggregati per la sola provincia di Trieste.


I DATI DEL "VALORE AGGIUNTO" PUBBLICATI DALLA 
PROVINCIA DI TRIESTE NELLA "RELAZIONE PREVISIONALE E PROGRAMMATICA 2015-2017" PAG. 44 E' DI 
€ 7.306.271.100
Il dato è coerente, anche se non identico, con le stime fornite dalla Regione:

Bisogna tener conto che il "Valore Aggiunto"
è uno dei tre modi per calcolare il famoso PIL che serve da base per il calcolo della pressione fiscale e che, mediamente, nei calcoli della Regione è superiore di circa il 5,78%  al "valore aggiunto" medesimo (vedi tabella accanto).
Per le notazioni tecniche su PIL e "Valore Aggiunto" leggi cliccando QUI.

Tenendo anche conto che la Provincia stessa nella sua "Relazione Previsionale e Programmatica 2013-2015" a pag. 43 indicava il PIL provinciale  del 2010 in € 
7.729.390.000 e del calo dovuto alla crisi, possiamo tranquillamente e cautelativamente assumere che il PIL provinciale di Trieste è di circa   7.350.000.000.

Secondo il Governo la pressione fiscale sul PIL sarebbe del 42,5% 
ma secondo il centro studi della autorevole CGIA di Mestre il prelievo reale è del 48,8% (clicca QUI).

Pertanto il prelievo 
fiscale sul territorio della provincia di Trieste è di € 3.548.000.000 secondo la CGIA (e di € 3.123.750.000 secondo il Governo...).

Tuttavia anche esaminando i dati forniti dalla Regione a pag. 195 e 198 sulle entrate riscosse de "La Regione in Cifre 2017", appare evidente che la cifra più attendibile è quella di 3.548.000.000 (tre miliardi cinquecento quarantotto milioni).

A questa cifra considerevole vanno aggiunti gli importi extra dovuti a IVA sulle importazioni e Diritti Doganali per le merci importate nella UE tramite il nostro "Porto Franco Internazionale di Trieste".
Tale somma è mediamente tra 750 e 800 milioni/anno.
Per l' impatto economico e fiscale del Porto Franco di Trieste clicca QUI.

3.548.000.000 prelievo fiscale sul PIL 
   800.000.000  IVA e Diritti Doganali importazioni Porto
___________________________________
4.348.000.000 TOTALE PRELIEVO FISCALE SUL TERRITORIO DI TRIESTE

Stimato il gettito fiscale del nostro territorio bisogna stabilire quanto viene speso da Stato, Regione ed enti locali per servizi ai cittadini della provincia di Trieste, stipendi dei dipendenti pubblici compresi.

Ci viene nuovamente incontro la "Regione In Cifre 2017" dove a pagina 192 sono indicate
le spese delle pubbliche amministrazioni, voce per voce, vedi tabella accanto:

SPESE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (in milioni)
Servizi generali delle amministrazioni pubbliche  (stipendi ecc.) 
1.010 
Difesa 422
Ordine pubblico e sicurezza  592
Affari economici  599  
Protezione ambientale 99
Abitazioni e assetto territoriale 200
Sanità  2.349
Attività ricreative, culturali e di culto  136  
Istruzione  1.115
Protezione sociale 489
TOTALE 7.010    .... Fonte: ISTAT, Conti economici nazionali e territoriali.

A pagina 281 si chiarisce che la popolazione della provincia di Trieste è di 234.874  abitanti su 1.221.218  di tutta la Regione: cioè il 19,217 % del totale.
Mentre la superficie del nostro territorio è di soli 212,5 kmq contro i 7.862,3 dell' intera regione ovvero solo il 2,7% del totale: il che è utile per valutazioni sulle spese per viabilità e infrastrutture territoriali !


Pertanto le spese, compreso gli stipendi al personale, per servizi agli abitanti sono serenamente e prudenzialmente stimabili nel 19,217 % del totale perchè questa è la percentuale di triestini in regione: ovvero il 19,217 % di € 7.010.000.000 = € 1.347.112.000  soldi spesi sul territorio per servizi ai cittadini.

Con altre parole può dire, più esattamente, che la spesa pubblica pro-capite nella regione FVG è complessivamente di € 5.740 all' anno (7.010.000.000/1.221.218) e pertanto nella provincia di Trieste che ha 234.874  abitanti è di 1.348.176.000, contro un flusso fiscale in entrata di 4.348.000.000 che viene incamerato da Stato e Regione.

Secondo il metodo di queste nostre stime la spesa della Regione per la sanità triestina dovrebbe essere di circa il 20% del totale pari al numero dei residenti: la spesa regionale per la sanità è di  € 2.349.000.000, il 20% è 469.800.000 il che sostanzialmente corrisponde perchè a bilancio di previsione dell' Azienda sanitaria triestina risultano 465.000.000 di contributi regionali: vedi figura.

Il metodo è chiaramente attendibile e rafforzato dal fatto che le spese per l' altra voce pesante, l' istruzione, sono più basse per abitante a Trieste vista l' alta età media.


La stima è dunque di 
4.348.000.000 TOTALE PRELIEVO FISCALE
1.348.176.000 SPESA PUBBLICA PER SERVIZI AI CITTADINI
_______________________________
 2.999.824 RESIDUO FISCALE DI TRIESTE

Naturalmente le cifre possono essere ponderate e variamente aggiustate ma il surplus fiscale a favore di Trieste è talmente evidente e rilevante che LA SOSTANZA NON PUO' CAMBIARE.

Non si tiri fuori la storia delle pensioni perchè queste sono dovute (in qualsiasi paese risieda il lavoratore pensionato) e finanziate con i pesanti contributi pagati in precedenza da lavoratori e aziende. 

Aggiungiamoci che Trieste si candida a diventare il terminal marittimo della "Nuova Via Della Seta" per l' Europa centro orientale e sta cominciando ad utilizzare in modo produttivo il Regime di Porto Franco, per cominciare a rimediare alla pesante deindustrializzazione e decadenza subita, e comprendiamo facilmente le motivazioni di una forte autonomia sia fiscale che di governo del territorio: un Porto Franco Internazionale non può crescere e svilupparsi in un territorio governato centralisticamente con metodi burocratici e bizantini e con un fisco rapace.
Ha bisogno di investimenti ed efficiente amministrazione del territorio.


Non a caso Amburgo, Brema, Singapore, Hong Kong, Dubai ecc. sono città-stato portuali autonome e pertanto amministrate con efficienza.


Tre miliardi di residuo fiscale che finiscono a Roma e in Regione e un Porto Franco Internazionale da sviluppare ci sembrano validi motivi per volere l' autonomia da un Centro inefficiente e burocratico che ci ha messo 23 anni ad emettere un decreto attuativo per i Punti Franchi previsto per legge fin dal 1994.

A noi pare che Trieste con il suo Porto Franco Internazionale, l' unico già ben connesso e operativo con l' Europa soprattutto via ferrovia e in grado da subito di essere terminale della "Via della Seta" marittima, più che "cara al cuore" romano sia sempre più cara al suo portafoglio bucato.


Il Porto Franco Internazionale di Trieste lavora al 90% con i mercati europei e solo al 10% con il mercato italiano:


LE SINGOLE TASSE SUL PORTO SUDDIVISE FRA STATO E REGIONE:
(per l' impatto economico e fiscale del Porto Franco di Trieste clicca QUI.)