A riprova che non siamo faziosi: così come il 23 dicembre abbiamo stigmatizzato un articolo nazionalista e italiota di Libero riguardo il nostro Porto Franco Internazionale e le "Nuove Vie della Seta", oggi invece segnaliamo un condivisibile articolo di fondo di Feltri sulla presunta "vittoria" nella Inutile Strage di 100 anni fa che ha segnato una svolta catastrofica per Trieste annessa all' Italia e così degradata da Porto dell' Impero a città di provincia della provinciale e arretrata Italietta.
Evidentemente la verità prima o poi si fa strada e fa capolino nei posti più impensati.
Ciò nonostante quest' anno faranno di tutto per continuare ad asfissiarci con celebrazioni guerrafondaie e antieuropee della cosiddetta "Vittoria", continuando le penose tiritere retoriche e nazionaliste che hanno ripreso vigore fin dal 2014 con la scusa degli anniversari del tragico evento bellico.
Ecco il testo dell' articolo:
Da Libero 4/1/18 pag. 24
Grande
Guerra, grandissima macelleria, conflitto inutile
di Vittorio Feltri
Un secolo fa, nel 1918, si concluse la Prima guerra mondiale, che noi pensammo e ancora pensiamo di aver vinto.
Sciocchezza, falsità utilizzata dai retori dell’epoca allo scopo di esaltare il cosiddetto amor patrio.
La nostra fu una sconfitta in ogni senso, politico e militare.
Non si capisce perché partecipammo al conflitto. Se interroghi qualunque studente universitario in proposito non sa come rispondere oppure ripete una serie di luoghi comuni in cui lui stesso non crede.
Provate a trasformare questa domanda sui motivi del nostro intervento in una sorta di test e scoprirete che nessuno sa qualcosa sulla tragedia in questione.
Morirono centinaia di migliaia di uomini nelle trincee e durante gli assalti assurdi alle truppe austriache, e non abbiamo capito chi ce lo abbia fatto fare di organizzare ai nostri confini nordici una enorme macelleria.
L’Unità d’Italia era fresca, aveva poco più di 50 anni, e un
brutto dì gli idioti del governo e del Parlamento, non certo migliori degli
attuali, decisero di buttarsi in battaglia per ottenere non si sa quali
benefici.
I nostri soldati erano ignari dei motivi per cui dovevano andare in montagna a farsi massacrare e a massacrare colleghi stranieri. Le soldatesche sotto il tricolore che combattevano lassù tra i bricchi non parlavano neppure la lingua italiana, si esprimevano in massima parte nel dialetto della loro regione.
I nostri soldati erano ignari dei motivi per cui dovevano andare in montagna a farsi massacrare e a massacrare colleghi stranieri. Le soldatesche sotto il tricolore che combattevano lassù tra i bricchi non parlavano neppure la lingua italiana, si esprimevano in massima parte nel dialetto della loro regione.
A fatica si comprendevano. D’altronde
tra un alpino bergamasco e uno abruzzese, a quei tempi, l’incomunicabilità era totale. Essi
erano uniti da un solo denominatore comune, costituito dalla sofferenza fisica,
ai limiti della resistenza, e dalla paura di morire, che poi era una certezza.
L’ordine dei generali, lacchè dei politici dissennati, era secco e indiscutibile: premere il grilletto e uccidere il nemico presunto.
L’ordine dei generali, lacchè dei politici dissennati, era secco e indiscutibile: premere il grilletto e uccidere il nemico presunto.
Accadde di tutto durante le
carneficine.
Gli alpini che andavano avanti cadevano sotto i colpi austriaci, quelli che giustamente cercavano scampo indietreggiando erano ammazzati dagli ufficiali al grido: «crepate traditori e vigliacchi».
Gli alpini che andavano avanti cadevano sotto i colpi austriaci, quelli che giustamente cercavano scampo indietreggiando erano ammazzati dagli ufficiali al grido: «crepate traditori e vigliacchi».
E adesso c’è ancora chi ci viene a
raccontare che quella sul Grappa e quella lungo il Piave furono pagine eroiche.
Menzogne.
La disperazione e il terrore
spinsero i nostri militari denutriti e sfiancati a reagire: non volevano
perire; della Patria, che manco sapevano cosa fosse, non gliene importava un
accidente.
Gli storici, insufflati dai servi
del potere, non hanno mai detto la verità.
E quando i cannoni hanno smesso di sparare, hanno cominciato a sparare cazzate gli strateghi da salotto romano, dipingendo le intrepide gesta del nostro esercito quale prova dell’italico valore.
Oggi, nonostante il tempo trascorso, che avrebbe dovuto indurre gli studiosi a rivedere la realtà alla luce della ragionevolezza, siamo tuttora qui ad abbeverarci ai sacri testi del militarismo più vieto, e seguitiamo a ruminare retorica per lodare il sacrificio dei soldati trucidati ubbidendo alla regia volontà.
E quando i cannoni hanno smesso di sparare, hanno cominciato a sparare cazzate gli strateghi da salotto romano, dipingendo le intrepide gesta del nostro esercito quale prova dell’italico valore.
Oggi, nonostante il tempo trascorso, che avrebbe dovuto indurre gli studiosi a rivedere la realtà alla luce della ragionevolezza, siamo tuttora qui ad abbeverarci ai sacri testi del militarismo più vieto, e seguitiamo a ruminare retorica per lodare il sacrificio dei soldati trucidati ubbidendo alla regia volontà.
Tutto ciò è insopportabile.
Reiterare le bugie a scopo propagandistico
è un esercizio ignobile, che rifiutiamo,al quale tuttavia pochi si sottraggono.
Come cittadini, che conoscono a
fondo l’Italia e la sua miseria intellettuale, ci vergogniamo di assistere a
certe sceneggiate disgustose o, peggio, ridicole.
Nel rispetto delle vittime della
Prima Guerra mondiale, invochiamo almeno un po’ di silenzio: basta far passare
da scemi gli alpini che ci lasciarono la pelle per non realizzare i sogni di
gloria d’un manipolo di deficienti seduti in poltrona.
Dal gravissimo evento bellico il
Paese non ricavò alcun vantaggio, ma solo funerali di terza categoria: nessuna
pensione per i superstiti e un immenso dolore per i familiari.
Per comprendere quanto avvenne sulle Alpi è più utile ascoltare una canzone
napoletana del 1915 “0 surdato ‘nnammurato”
che leggere tanti libri scritti da tromboni stonati e prezzolati.
Carabinieri fucilano alpini "insubordinati" a Cercivento il 1° luglio 1916
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