RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 20 aprile 2018

PORTO VECCHIO: E LA MONTAGNA PARTORI' IL TOPOLINO...


E la montagna partorì il topolino: dopo il pericoloso svincolo in v.le Miramare ecco un (progetto di) anello per visitare magazzini sempre più degradati e la fogna a cielo aperto lasciata dal crollo della volta del torrente Chiave che nessuno ripara. Tanto per gettare fumo negli occhi.

A tre anni e quattro mesi dalla "sdemanializzazione" strombazzata come il "motore di sviluppo eco
nomico" di Trieste il bluff viene a galla: gli investitori internazionali che fanno la fila da Dipiazza, i 5 miliardi di investimenti e i fondi sauditi e americani di Russo, i 100.000 nuovi abitanti di Cosolini si riducono a una stradina a senso unico con ciclabile e dei giardinetti.

Questi i grandi progetti che certo faranno piacere ai pensionati per le passeggiate e procureranno qualche votarello: piacerà anche ai disoccupati a spasso che potranno godere del panorama.

Questo il grande risultato del "tacito e benemerito accordo fra centrosinistra e centrodestra" magnificato da Morelli nell' articolo di lunedì sul Bugiardello e della collaborazione tra Russo e Dipiazza sugellata con un "Sigillo Trecentesco".

Mentre nella parte fortunatamente rimasta di Punto Franco la Saipem si espande, crea il Centro Mondiale per la Robotica Subacquea e soprattutto posti di lavoro ad alta qualificazione e la Seleco cerca la possibilità di insediarsi in Punto Franco evitando le complicazioni e le lentezze burocratiche.

Come rinoceronti alla carica contro il muro fanno di tutto pur di non ammettere che l' unica possibilità di reale recupero e sviluppo di Porto Vecchio sta nell' utilizzo produttivo del Punto Franco, demonizzato per anni.

Quanti altri anni ancora per ammettere il fallimento del progetto assurdo di urbanizzare Porto Vecchio, un area che non ha mai fatto parte della città e i cui costi di infrastrutturazione primaria sono stratosferici e quelli del rispetto del "vincolo architettonico" esorbitanti ? E l' utilizzo turistico totalmente fuori mercato e dalla realtà?

P.S. apprendiamo che sull' incantevole stradina con ciclabile circoleranno anche i TIR destinati all' Adriaterminal (GMT e SAIPEM) che movimenta 300.000 tonellate all' anno.

Clicca QUI per l' articolo del Piccolo

martedì 17 aprile 2018

LETTERA APERTA A PAOLO RUMIZ: "HAI RAGIONE A VOLERE L' INTERNAZIONALIZZAZIONE DI TRIESTE MA TI ILLUDI CHE POSSA AVVENIRE CON LA SDEMANIALIZZAZIONE / URBANIZZAZIONE DI PORTO VECCHIO; IDEA SBAGLIATA IN PARTENZA PERCHE' ANTAGONISTA ALL' UTILIZZO PRODUTTIVO DEI PUNTI FRANCHI CHE INVECE SI AFFERMA E CRESCE (vedi Saipem e Seleco proprio nel Punto Franco di Porto Vecchio)" - L' ossessione improduttiva per l' urbanizzazione di Porto Vecchio: un' idea da anni '70 quando è stata praticata in grandi città affluenti su aree molto più piccole e con un fiume di soldi pubblici che non ci sono più.


Lettera aperta a Paolo Rumiz


Caro Paolo,
come sai ho sempre condiviso il tuo desiderio di vedere nuovamente Trieste città internazionale.
Riconnettere Trieste a livello globale è il compito principale di questa fase storica per permettere alla nostra città di superare il trauma di "cent' anni di solitudine" e isolamento dal suo entroterra naturale mitteleuropeo (vedi cliccando QUI).


Leggendo sia il tuo articolo su Repubblica, che ha dato il via ad altri articoli sulla stampa nazionale, sia il tuo intervento sul Piccolo (vedi sotto), ho notato che viene attribuito alla sdemanializzazione / urbanizzazione di Porto Vecchio un ruolo assolutamente centrale e di preminenza in questo processo di nuova internazionalizzazione e sprovincializzazione che in tanti auspichiamo.


E', però, veramente drammatico quanto sostenuto dall' articolo successivo al tuo di Morelli sul Piccolo: a tre anni e quattro mesi dall' emendamento Russo su "sdemanializzazione" ed eliminazione del Punto Franco da Porto Vecchio, e malgrado il sostanziale accordo di CentroSinistra e CentroDestra, sono al punto di partenza, senza alcuna idea di fondo su cosa fare per urbanizzare quell' area
Va veramente letto questo articolo su quali sono i risultati di oltre tre anni di annunci e illusioni: uno spezzatino di niente e idee totalmente confuse (vedi in fondo).
Pensavo che ad insinuare seri dubbi sulla bontà e praticabilità dell' urbanizzazione di Porto Vecchio fossero sufficienti i tre anni e quattro mesi trascorsi dall' emendamento Russo sulla "sdemanializzazione" senza nessuna realizzazione concreta o progetto credibile (è ancora in alto mare perfino l' acquisizione degli immobili nel patrimonio disponibile del Comune mentre l' ESOF 2020 non c' entra nulla con la "sdemanializzazione") quando, al contrario, l' uso produttivo del Punto Franco di Porto Vecchio ha avuto concrete realizzazioni con la Saipem e la Seleco (clicca QUI).

Ma vedo che si insiste, forse per inerzia e purtroppo anche da parte tua, su questa strada che i fatti dimostrano non portare da nessuna parte.

Quella dell' urbanizzazione, soprattutto in chiave turistica, di porzioni di aree portuali dismesse è stata una pratica realizzata nel secolo scorso, con abbondanza di soldi pubblici che non ci sono più e in condizioni di mercato ormai distrutte dalla crisi decennale, solamente in alcune grandi città affluenti e in crescita dotate di una solida e ampia base economica e, in ogni caso, per aree assai più piccole, prive peraltro di collegamenti ferroviari e di Punti Franchi preesistenti.

Da Marsiglia a Barcellona, da Aburgo a Genova (con le Colombiadi) le aree coinvolte erano assai più piccole di Porto Vecchio e sempre sono stati usati fiumi di soldi pubblici ormai prosciugati.
A Marsiglia sono persino intervenute la magistratura e la Corte dei Conti per i costi sproporzionati del suo Porto Vecchio.
Si tratta di idee e progetti del passato per cui non ci sono più le condizioni economiche e di mercato.


Trieste al contrario è una città ormai di soli 200.000 abitanti in forte calo demografico e con strutture urbane sufficienti per 350.000 abitanti, 20.000 appartamenti vuoti, negozi e commercio locale in forte crisi e con una base economica instabile e depressa.
L' urbanizzazione di un' area così vasta come Porto Vecchio, con un milione di metri cubi di costruzioni, compresi esercizi commerciali ed abitazioni, creerebbe squilibri pesantissimi e spostamenti drammatici del baricentro urbano.
Nessuno sente l' esigenza di un nuovo centro o di un nuovo rione, come è stato annunciato trionfalmente, o di ulteriori centri ed esercizi commerciali.


Se si pensa a farne un' attrazione autosufficiente economicamente, con molte centinaia di migliaia di turisti/anno per ammortizzare i costi, ci si illude solamente perchè non si conosce quel mercato dove conta più un acquasplash di un museo: non siamo Venezia e, per fortuna, nemmeno Pompei.
E nemmeno Lignano o Cortina che possono vivere di turismo.
E non si può dire che vecchi magazzini o musei siano un' attrattiva travolgente tale da spostare masse di persone.
E poi come ci arriverebbero ? Per Viale Miramare e le Rive?

Non c'è tornaconto economico ad investire onestamente nell' urbanizzazione di Porto Vecchio: i costi di infrastrutturazione primaria di un' area priva anche di fognature sono enormi, il "vincolo architettonico" esteso anche a molti interni porta i costi alle stelle senza ragionevoli previsioni di rientro grazie al flusso turistico.
Proprio come sarebbe per il Parco del Mare con Aquario i cui promotori sovrastimano pesantemente le potenzialità economiche e di attrazione.
Non dimentichiamo i deficit cronici di Porto Antico di Genova con annesso Acquario e il deficit primario persino dell' Expo' di Milano...


Chi caccerà i denari per i grandi progetti che auspichi?
Il Comune non ha i soldi nemmeno per la normale manutenzione del sito sempre più degradato (sono crollate da oltre un anno le volte del torrente Chiave e c'è una fogna a cielo aperto che nessuno ripara) e i privati non li regalano senza un tornaconto certo che non è ragionevolmente ipotizzabile in questo caso, se in assenza di pesante speculazione edilizia o traffici poco chiari.
I 50 milioni promessi due anni fa dal Ministero della Cultura sono una goccia nel mare (Russo parla sempre di 5 miliardi di investimenti) e non sono ancora arrivati.
Sappiamo tutti che quella di Dipiazza che passa tutti i giorni da due anni a ricevere investitori entusiasti e golosi è una storiella ovvero "invenzione giornalistica": non c'è un solo nome cui attribuire impegni concreti.

Si è voluto togliere, con l' emendamento Russo, il Punto Franco perchè in un ottica turistica sarebbe di ostacolo al passaggio delle persone: tuttavia nella porzione costiera rimasta, grazie solo alla lungimiranza dell' Autorità Portuale mentre volevano toglierlo del tutto, si sta dimostrando indispensabile per l' insediamento e lo sviluppo di un' impresa ad alta tecnologia come la Saipem e dovrà essere riesteso per comprendere l' edificio ormai comunale destinato alla Seleco (e la sdemanialiazizzazione con la ancora rimandata acquisizione nel patrimonio comunale crea problemi).


E nel convegno del 26 marzo in Regione sulle Nuove Vie della Seta si è sentita proporre la riestensione del Punto Franco su aree ed edifici di Porto Vecchio da adibire a centri direzionali e magazzini di imprese orientali: un po' riecheggiando il Centro Finanziario Off-Shore degli anni '90 purtroppo abortito anche per responsabilità di cricche locali che finalmente stanno tirando politicamente le cuoia.

Due anni fa è stato scritto su questo blog l' articolo "La verità su Porto Vecchio produttivo"(clicca QUI): è tuttora valido e sono convinto che la vicenda di Porto Vecchio non potrà concludersi che con la riestensione del Punto Franco ad utilizzo produttivo per creare posti di lavoro qualificati di cui Trieste ha grande bisogno.

L' utilizzo produttivo dei Punti Franchi è finalmente passato come concetto grazie a Zeno D' Agostino che lo ha fatto proprio, dopo lustri di demonizzazione e campagne stampa avverse proprio a causa del desiderio di toglierlo da Porto Vecchio.
Tuttavia ci sono progetti in Zona Industriale, dove in piccola parte il Punto Franco è stato trasferito, che si scontrano con i grandi costi economici e burocratici di insediamento dovuti al SIN Sito Inquinato Nazionale che interessa tutta l' area.  

Costi di bonifica che invece non ci sono in Porto Vecchio.
Il SIN è frutto di un altra pensata balorda della politica locale del secolo scorso finalizzata a richiedere soldi per le bonifiche: naturalmente in quasi 20 anni non hanno fatto niente.
Il SIN in cambio è diventato un forte ostacolo allo sviluppo, così come un forte ostacolo allo sviluppo in Porto Vecchio è stato ed è il vincolo architettonico, giustamente definito "idiota" da Luciano Semerani, imposto da Sgarbi quasi 20 anni fa.


Purtroppo Trieste ha pochi spazi utilizzabili come retroporto e per iniziative produttive ed è un peccato sprecare 7 ettari di un' area da sempre usata esclusivamente per attività logistiche e imprenditoriali come Porto Vecchio in chiacchiere, progetti e rendering che da 30 anni riempiono inutilmente gli armadi (Trieste Futura, Porto Città e via andare...).
Trieste, che è drammaticamente scesa sotto il 9% del PIL locale da industria nella totale indifferenza della Confindustria locale, ha assoluto bisogno di sviluppo economico vero legato al mix di logistica e industria 4.0: non di nuovi spazi urbani o di un fantasticato e irrealizzabile "turismo di massa" a Trieste, che peraltro sarebbe fonte di altri pesanti problemi.

Se non vogliamo che i nostri ragazzi finiscano a fare i camerieri, come tu paventi, è a questo che dobbiamo puntare senza disperdere energie, soldi e speranze su un progetto di retroguardia come l' urbanizzazione di Porto Vecchio con l' annessa ossessione maniacale per il turismo che viene usata anche come base e giustificazione per il dilagare del bazar di bancherelle.


Perchè non concentrare l' attenzione e le energie sui punti di forza che già abbiamo e dimostrano di funzionare: lo sviluppo del Porto Franco Internazionale sulle "Nuove Vie della Seta" con l' utilizzo produttivo e industriale dei Punti Franchi unici in Europa, riestendendo quello di Porto Vecchio, con annessa nuova Free Tax Zone fiscale e abolizione sia dei "vincoli architettonici idioti" che del SIN (che non sono catastrofi mandate dal Cielo ma scemenze fatte dai politici)?


Se tre anni e quattro mesi impiegati per arrivare al nulla vi sembrano pochi per decretare il fallimento della strada dell' urbanizzazione e intraprendere finalmente quella dell' utilizzo produttivo del Punto Franco, quanti altri anni bisognerà aspettare ? Keynes diceva: "Nel lungo periodo saremo tutti morti".

Cordialmente

Paolo Deganutti
direttore (ir)responsabile del blog Rinascita Triestina

Ecco gli articoli citati:

Da Il Piccolo 14/4/18

Lo “spezzatino” di Porto vecchio: Trieste davanti al bivio decisivo
di Paolo Rumiz
 Ahi. Si comincia col piede sbagliato: un palacongressi fatto in casa, premessa di una gestione-spezzatino del Porto vecchio. Cose come: mettiamo le ambulanze qui, i crocieristi lì, spostiamo più su la marina e più giù il centro scientifico. Mi chiedo se ci sia davvero voglia di imparare dall’estero, da posti come Barcellona o Bilbao, dove si sono mobilitate intelligenze da tutto il mondo per trovare idee buone con concorsi trasparenti. Trasparenza significa: meno rischio di corruzione e più garanzia di qualità, dalle quali discende l’interesse di un’imprenditoria solida, dunque ricchezza. Questo grande momento non possiamo affrontarlo da soli. Non può farlo nemmeno un sindaco smagato e comunicatore come Roberto Dipiazza. È tecnicamente impossibile. Serve attingere a esperienze vincenti. Uscire dal guscio. Invece che accade? Ad Amburgo, dove mi trovavo per l’uscita d’un mio libro, ho appreso da un operatore che mesi fa il sindaco di Trieste era stato invitato a vedere i risultati della riqualificazione del porto vecchio anseatico, ma all’ultimo momento ha detto «non vengo», con non poca irritazione dei tedeschi.
È sorprendente, perché il porto di Trieste è una sfida europea, che va affrontata con un concorso di idee europeo. Esattamente come Amburgo. Siamo a un bivio decisivo. Se gestiamo la cosa tra amici, con spirito provinciale da agenti immobiliari, e senza una precisa idea di città, tradiremo l’identità triestina, importeremo capitali sospetti, costruiremo male e ci spartiremo una magra torta, allontanando gli investitori che contano. Faccia le valige dunque caro Dipiazza. Non si limiti a ricevere clienti nel suo ufficio con la mappa di Trieste sul tavolo. Se il porto sta crescendo negli ultimi mesi è perché il suo presidente passa settimane, se non mesi, a Pechino, Dubai, New York (e non certo a propagandare la sdemanializzazione di Porto Vecchio bensì il Porto Franco Internazionale, terminal della Nuova Via della Seta.  ndr,). In altri termini, perché si è rotto il catenaccio degli affari tra amici, imposto in passato dagli alleati meno affidabili del nostro primo cittadino. Apertura contro maso chiuso. Imprenditoria contro cricca. Competizione contro favoritismi. Sindaco, lei lo sa. È nel nome di Trieste che abbiamo deciso di seppellire l’ascia di guerra ed è sempre nel nome di Trieste che giorni fa le ho offerto un’apertura di credito di lusso con due pagine su Repubblica dedicate al grande momento, svegliando il resto della stampa nazionale sul tema. In quella occasione lei mi aveva dichiarato che quel risultato era stato ottenuto grazie a un grande “patto civico” con l’opposizione, e in particolare con la governatrice Serracchiani, della quale mi ha pure ha tessuto le lodi. Perché è stata Debora, e non i suoi alleati, a sbloccare i punti franchi (decreto operativo che mancava dal ’54) e a puntare sull’ottimo D’Agostino alla presidenza del Porto. Decisioni storiche, come l’istituzione della franchigia teresiana. Lei ha ereditato da altri un’immensa fortuna. Le scelte regionali, l’onesta gestione Cosolini, i fondi del ministri della cultura per Trieste città europea della scienza e molto altro. Tutte cose avute – e lei lo sa – non grazie ma nonostante la sua parte politica. Nonostante i vari Camber, Paoletti, Monassi, i loro poteri dinastici e i loro sempre più magri pacchetti di voti. Ora rifletta: lei ha uno straordinario patrimonio di popolarità. Non lo butti via. Mostri di saperlo gestire in libertà; lo usi per affrancarsi da certe compagnie attente non a Trieste ma al loro tornaconto. E qui, dopo che al sindaco, mi rivolgo all’opposizione. Perché voi di Sinistra non dite: caro Dipiazza, magari noi ti diamo ancora una mano, ma tu devi scegliere se passare alla storia come colui che ha rilanciato la città o come chi ha buttato alle ortiche una straordinaria, irripetibile occasione. Perché tacete su questo persino in campagna elettorale? Per tattica? Per storica mancanza di coraggio? Per colpa di Renzi? Per la speranza di avere gli avanzi del banchetto? E già che ci siamo, dove sono gli ordini professionali? Don Abbondi anche loro, silenziati con promesse, oppure teste capaci di spremere idee coraggiose? E la pubblica opinione è disposta ad allargare il dibattito oltre la gestione dei marciapiedi e l’adozione di gatti abbandonati? E i giovani dove sono? Si battono per un grande futuro o preferiscono sorseggiare aperitivi in vista di fare, se gli va bene, i camerieri ai turisti giapponesi (è quello che succederà se si pensa che il turismo sia la soluzione per Trieste anzichè l' industria collegata alla logistica . ndr)? E sì che ce ne sono di argomenti su cui far polemica. I vigili pistoleros, per esempio. Perché spendere cifre esagerate in armi e blindati, quando potremmo dar lavoro a un po’ di gente? Che bisogno abbiamo di dare l’immagine di una Trieste insicura quando i reati sono in netta diminuzione? Perché spaventare gli stranieri pronti a investire in città? A chi giova tutto questo? Esorto il sindaco a porsi questa domanda. Qui non c’è paura, ma voglia di generarla. A che scopo? Rappresentare un pericolo esterno (l’immigrato nero brutto e cattivo) per depistarci dal vero pericolo, che è interno. Il nostro provincialismo. Le inaffondabili mafiette locali che da sempre tolgono ossigeno a Trieste.

Ed ecco l' articolo di Morelli sul Piccolo del 16/4

IN PORTO VECCHIO CONTA LA SCELTA DI PARTENZA 
(a tre anni e quattro mesi dalla "sdemanializzazione siamo ancora alla partenza ? ndr)
di Roberto Morelli
Lo sblocco del recupero del Porto vecchio e il rilancio di quello nuovo sono stati il frutto del primo patto istituzionale verificatosi a Trieste negli ultimi cinquant’anni. Un tacito e benemerito accordo fra centrosinistra e centrodestra favorito dalla logica delle cose: patto non scritto, non enunciato, mai esplicitamente concordato e forse mai neppure pensato, bensì indotto da una successione inerziale di eventi che gli attori in campo hanno prima assecondato, poi incanalato, infine cavalcato. Per una volta senza interdizioni, merci di scambio, demagogie: ma con la semplicità di chi vede le cose necessarie alla città e le fa. Il blitz notturno dell’allora senatore Russo che inserì la sdemanializzazione del vecchio scalo in Finanziaria; la scelta di un presidente del Porto di grandi capacità (Zeno D’Agostino) da parte dell’allora sindaco Cosolini e dell’allora governatrice regionale Serracchiani; la decisa svolta nel centrodestra a favore del recupero del Porto vecchio imposta e guidata dal sindaco Dipiazza, persino accettando la diminutio di sovranità comunale sui punti franchi; non ultima, la bontà di tutte queste scelte confermata l’altro ieri dal probabile futuro presidente della Regione Fedriga nell’unico dibattito elettorale finora tenutosi. Un filo conduttore coerente tra gli schieramenti che dovrebbe dirsi ovvio in un mondo normale, ma è rivoluzionario in una città di beghe bisbetiche e aspirazioni a non fare, purché a fare non sia l’altro. Tutto ciò è stato fondamentale, ma non basta. Perché nel futuro assetto del Porto vecchio è necessario un salto di qualità. Una riflessione globale e profonda, ma concreta e rapida, su quel che vogliamo quell’area diventi: non una congerie d’iniziative, destinazioni e occupanti privi di trama comune, ma un insieme coerente che esprima un progetto generale e un’idea compiuta di città. Su queste colonne si è evocato da molti mesi il rischio “spezzatino”: ovvero un recupero fatto a pezze e rattoppi a seconda delle proposte emergenti, delle opportunità pseudo-casuali e dei fondi disponibili. Ce n’è già di ogni sorta: dall’Immaginario scientifico al 118, dall’Icgeb al Parco del mare, dal rimessaggio navale alle scuole, alle mostre d’arte, alla bocciofila e così via. Tutte iniziative meritevoli o addirittura sacrosante (come il nascituro centro congressi), ma che vanno scelte non come capitano, bensì se aderenti a un progetto generale: che non c’è. L’esempio di quel che il Porto vecchio rischia di diventare – l’abbiamo scritto fin troppe volte – è già sotto i nostri occhi: l’ex Opp, che sarebbe stato il migliore campus universitario d’Italia ed è invece un’accozzaglia di attività prive di un tessuto comune. Con il risultato – e, per il Porto vecchio, il rischio drammatico – di un luogo estraneo alla città: se non so cos’è non ci vado, né ci andrà il turista. Ebbene, cosa sarà il Porto vecchio? Non è una questione di architettura: che deve seguire le scelte, non precederle. Né di trasparenza delle risorse, che dovranno essere in gran parte private (Chi ci mette i soldi in questa stupidaggine fuori mercato? ndr) e in ogni caso possono essere spese bene o male prescindendo dalle destinazioni d’uso. È proprio una questione di scelte da fare e di città da pensare. Vogliamo che il Porto vecchio diventi un nuovo centro urbano, con servizi, uffici, aree pedonali e residenze, ristoranti e negozi? O che esprima e racconti la Trieste della scienza e dell’internazionalità, o il rapporto fra la città e il mare, o l’intreccio dei suoi molteplici volti? O vogliamo chiedere a Eataly che ne faccia l’equivalente “marino” del parco agricolo Fico, un parco educativo e commerciale sul mare e la pesca? ( Riestendere il Punto Franco e insediarci attività come la SAIPEM e la SELECO: no, vero? ndr) Sono solo idee. Ma il punto di partenza è qui, non il fatto che – con tutto il rispetto – il 118 ha bisogno di una sede. L’iter era stato avviato con logica, affidando uno studio a Ernst & Young, tuttavia con un incarico vago, confuso e scritto in burocratese, e un risultato i cui costi erano pari all’ovvietà (180.000 euro buttati per un compitino propagandistico ! ndr). Di lì abbiamo gettato il bambino con l’acqua sporca e cominciato a fare in casa. Una missione impossibile per un’opera di tale importanza, che richiede invece una società pubblica di progettazione e gestione del recupero, la quale affidi un progetto generale e un modello operativo per gli investitori, e li individui tramite gara internazionale. Abbiamo uno spazio incantevole, un clima politico non più venato da posizioni ideologiche, la possibilità di ridisegnare il volto della città. Una opportunità così non capita per secoli (Bum ! ndr)



lunedì 16 aprile 2018

LE "TASSE EUROPEE" SONO UN PROBLEMA DEI PORTI ITALIANI MA NON DEL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE -


Sta creando sconcerto la pretesa della UE che i bilanci delle Autorità Portuali siano sottoposti a tassazione malgrado siano Enti Pubblici privi di finalità di lucro (clicca QUI).
In tal caso i costi di concessioni e servizi alle compagnie di navigazione dovrebbero aumentare del 40% mettendo fuori mercato i porti italiani.


E' ben vero che il "tafazzismo" masochista italiano si è espresso con un fisco talmente vorace da "cannibalizzare" e far fallire l' EZIT (Ente Zona Industriale di Trieste) con la richiesta di oltre 10 milioni di tasse per immobili malgrado esso fosse un Ente Pubblico senza fine di lucro esattamente come le Autorità Portuali.
La Regione ha posto in liquidazione l' EZIT accettando questa pretesa fiscale, totalmente abnorme e assurda per un ente pubblico non commerciale, con ciò creando un pericoloso precedente nella giurisprudenza fiscale italiana.


Tuttavia quello che caratterizza il Porto Franco Internazionale di Trieste è l' extraterritorialità doganale anche riguardo la UE nonchè la regolamentazione tramite l' Allegato VIII del trattato di Pace del 1947 che VIETA ESPLICITAMENTE la riscossione di tasse e tributi che eccedano il nudo valore dei servizi prestati alle compagnie di shipping.
Un aumento dei costi di concessioni e servizi dovuto a tassazione sarebbe una, seppur indiretta, plateale violazione dell' Allegato VIII che è parte integrante della legislazione italiana, come confermato dall' incipit del Decreto Attuativo dei Punti Franchi del luglio 2017, ed è pure recepito dalla UE insieme a tutti gli obblighi relativi ai Trattati di Pace come previsto dai Trattati di Roma del 1957.

E' per questo motivo che la UE non può nè dire nè fare nulla riguardo i nostri Punti Franchi.

Giunge a proposito in questa situazione la rivendicazione fiscale dei lavoratori portuali triestini del CLPT (clicca QUI) e abbiamo la sensazione che qualsiasi pretesa della UE, o di chiunque altro, di intervenire sul terreno fiscale nel nostro porto troverà una efficace e dura opposizione nei lavoratori appoggiati da tutti i cittadini.
E la discesa in campo dei portuali ci rassicura molto di più degli atteggiamenti ondivaghi dei politici.


Nessuno è più europeo dei triestini ma l' utilizzo della UE per fare concorrenza sleale, aumentare le tasse e limitare i diritti alimenta l' antieuropeismo nazionalista come sta facendo l' "europeismo missilistico" del bel Macron, più interessato alla vendita di sistemi d' arma ai Sauditi e alla "grandeur" che al caos che provoca in Medioriente (Siria dopo la Libia).