RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

venerdì 26 agosto 2016

TERREMOTI: ANCHE TRIESTE HA LA SUA FAGLIA STUDIATA NEL 2012 - RIVEDERE IL RISCHIO SISMICO SIA PER IL RIGASSIFICATORE CHE PER L' ADEGUAMENTO DEGLI EDIFICI - LA MESSA IN SICUREZZA DEGLI EDIFICI PUO' ESSERE UN FORTE SOSTEGNO ALLA RIPRESA ECONOMICA MA SOLO CON FORTI STANZIAMENTI PUBBLICI IMPEDITI DALL' AUSTERITY E DAL "PATTO DI STABILITA" - GLI AMMINISTRATORI STANZINO I FONDI PER LA MESSA IN SICUREZZA A TRIESTE -



Sulla stampa internazionale si parla molto del fatto che l' Italia non ha mai attuato una seria politica di prevenzione del rischio sismico e di adeguamento degli edifici (clicca QUI) tanto che terremoti di media entità producono danni ingenti e vittime che altrove non ci sarebbero.

E' significativo che i danni maggiori non li subiscano gli edifici antichi, che utilizzano tecniche costruttive collaudate da secoli e con travi di legno legate alla muratura, bensì quelli del '900, scuole e ospedali recenti compresi.
E' significativo il caso di Norcia che non ha subito danni pur in presenza di scosse analoghe a quelle che hanno devastato Amatrice, solo perchè era stata applicata seriamente una politica di prevenzione antisismica.

E' chiaro a tutti come un' attività di edilizia diffusa volta a mettere in sicurezza antisismica gli edifici sarebbe, oltre ad un doveroso intervento di tutela dell' incolumità pubblica e di prevenzione di danni maggiori alla comunità, anche un potente e duraturo volano di ripresa economica.

Tuttavia questo intervento non potrebbe basarsi su risorse private, ormai depauperate da 8 anni di crisi, blocco del credito bancario e crollo del valore degli immobili, bensì necessita di ingenti stanziamenti pubblici.

Questo si scontra con la folle politica di austerity, con l' inefficenza e la corruzione dell' apparato statale e con il "patto di stabilità". 
Per cui il problema si sposta anche a livello continentale europeo in cui lo spirito di solidarietà non sembra abbondare malgrado la retorica dell' incontro di Ventotene.

Trieste non è fuori da tutto questo: nel 2012 l' Osservatorio Geofisico ha pubblicato gli studi sulla FAGLIA DEL GOLFO DI TRIESTE che scorre  prossima alla riva da Sistiana a Porto Vecchio in prossimità di altre faglie (*nota) sul Carso (clicca QUI)  il che rende necessario ricalcolare il rischio sismico sia riguardo impianti pericolosi come il Rigassificatore sia riguardo gli edifici.
Trieste inoltre è limitrofa al Friuli e alle Alpi Giulie zone notoriamente ad elevato rischio sismico come vediamo dalla cartina sopra.


Pertanto sollecitiamo gli Amministratori ad un intervento per la prevenzione del rischio sismico con adeguati stanziamenti pubblici che oltre a tutelare doverosamente la sicurezza ed il patrimonio del Territorio stimolerebbero l' attività edilizia con beneficio generale per l' economia.


Volevano amministrare Trieste a tutti i costi? Bene, questo è un costo che devono affrontare.

Riportiamo sotto un articolo sulla FAGLIA DEL GOLFO DI TRIESTE del marzo del 2012 e uno di Repubblica di oggi che ben esemplifica i commenti internazionali sui terremoti italiani.

(* nota): le FAGLIE sono sistemi geologici che generano terremoti.
L' articolo successivo con lo studio geologico completo lo trovate cliccando QUI.


Ogs, scoperta la faglia del golfo di Trieste

Racconta come si è sollevato il Carso decine di milioni di anni fa. Il rischio sismico

I ricercatori dell’Osservatorio geofisico sperimentale hanno concluso lo studio e l’elaborazione dei dati sulla cosiddetta ‘Faglia del Golfo di Trieste’ aggiungendo un tassello alle conoscenze dell’evoluzione geologica dell’intera area. A completare lo studio durato sette anni e’ stata Martina Busetti, geofisica marina di Ogs, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale che, assieme ai colleghi Valentina Volpi, Fabrizio Zgur, Roberto Romeo e Riccardo Ramella direttore del dipartimento Rima, ha effettuato una serie di acquisizioni di dati nel Golfo di Trieste, anche in convenzione con la Regione Friuli Venezia Giulia. Il Golfo di Trieste era gia’ stato studiato negli anni cinquanta e sessanta, nel corso di rilievi compiuti sempre dall’Istituto, che allora si chiamava Osservatorio Geofisico Sperimentale, durante la fase pionieristica delle acquisizioni marine. Ma le strumentazioni e le tecnologie dell’epoca non consentivano di ottenere informazioni precise. ”La prima acquisizione recente – spiega Martina Busetti – e’ del 2005, quando a bordo della nave Ogs Explora abbiamo studiato questa parte di Golfo utilizzando la sismica a riflessione multicanale”. La tecnica e’ simile alle ecografie mediche: si basa sull’invio di onde acustiche molto intense – emesse da cannoni ad aria compressa – che si propagano attraverso l’acqua e penetrano nei sedimenti sotto il fondale marino; quando incontra variazioni strutturali (petrofisiche) nelle rocce e nei sedimenti, una parte delle onde viene riflessa, torna in superficie ed e’ registrata da sensori collocati in un cavo sismico trainato dalla nave a pochi metri dalla superficie dell’acqua. Alla prima acquisizione e’ seguito un secondo ciclo di indagini (2009), che hanno permesso di rivedere e aggiornare la geologia profonda del Golfo. Sono stati cosi’ acquisiti 500 km di cosiddetti ”profili”, cioe’ immagini di sezioni verticali del fondale, lunghe da 7 a 60 km, con una profondita’ di indagine di diversi km. Com’e’ fatta, dunque, la Faglia di Trieste? ”Questa struttura si trova in corrispondenza della costa triestina e appartiene alla faglia dinarica” racconta Busetti. ”La faglia e’ una superficie di discontinuita’ lungo la quale avviene uno scorrimento tra due blocchi. Se lo scorrimento e’ repentino si genera un terremoto. Il blocco superiore della faglia di Trieste rappresenta la parte emersa del Carso triestino (gia’ nota da tempo). Il blocco inferiore si trova nel Golfo, studiato dal 2005 in poi. La faglia si sviluppa per diversi km in profondita’ e i calcari, che in Carso giacciono a poche centinaia di metri sul livello del mare, qui si trovano a circa 1200 mt di profondita’, a circa 3 km dalla costa”. Che cosa significa questa differenza? ”Significa – riprende Busetti – che il Carso in tempi remoti ha subito una spinta in avanti e verso l’alto, sollevandosi. Inoltre, dopo la fase principale di formazione della catena dinarica nell’area del Carso, a livello del mare ci sono prove del fatto che tale attivita’ e’ proseguita, protraendosi fino a tempi recenti”. La presenza di questa faglia trasforma l’area del Golfo di Trieste in un’area a maggior rischio sismico? Dice Busetti: ”Le faglie possono generare sismi. In quest’area, pero’, non esiste una memoria storica di terremoti. Dunque non e’ il caso di temere eventi avversi imminenti. Certo, non sappiamo come si e’ comportata la faglia 10 mila o un milione di anni fa, ma dalle prove raccolte non si puo’ escludere che fosse attiva. Una parziale revisione della zona e del rischio sismico dovrebbe pero’ essere fatta, senza alcun allarmismo, ma come parte della normale revisione che riguarda gli studi sulla Terra”.
Per approfondire http://www.meteoweb.eu/2012/02/ecco-la-prima-mappa-della-faglia-del-golfo-di-trieste/121934/#dCZCrlD8jsWIEcbA.99

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Terremoti, il 60% dei vecchi edifici a rischio. E l'Italia se ne dimentica

Non c'è un vero piano prevenzione: in stato pessimo o mediocre 2,1 milioni di abitazioni. Una emergenza segnalata anche dal Mit e in primo piano sui giornali stranieri. E il sindaco dell'Aquila Cialente segnala: "Solo su questo non è obbligatoria una scheda tecnica dei frabbricati. Incredibile"


L’Italia nonostante i tanti terremoti che l’hanno devastata non ha mai messo in piedi un grande piano sulla prevenzione sismica e la scossa che ha colpito il Centro Italia in altre realtà non avrebbe provocato gli stessi danni. Lo dicono senza mezzi termini i giornali stranieri, che puntano sulle norme edilizie troppo permissive nel Belpaese, e gli esperti del Mit di Boston che sostengono in maniera netta come “la scossa del 24 agosto non era poi così elevata”. E a dar manforte alle critiche che arrivano dall’estero arrivano i numeri impietosi sulle abitazioni realizzate prima degli anni Ottanta e mai messe in sicurezza: il 60 per cento degli edifici in Italia è stato realizzato prima del 1971 e di questi 2,1 milioni sono in stato “pessimo o mediocre”, come ha rilevato l’Ance. A fronte di questa disastrosa situazione, lo Stato dagli anni Sessanta a oggi ha investito 150 miliardi di euro dopo i terremoti per ricostruire quanto crollato, ma in prevenzione ha stanziato appena un miliardo e solo dopo i fatti del 2009 che hanno devastato l’Aquila. E di quest’ultima cifra sono stati realmente spesi poche decine di milioni in 250 edifici pubblici. Poi il nulla.

"Sono passati anni dall'Aquila e io trovo incredibile che per una scossa del sesto grado che in altri paesi non provoca danni succeda quanto è successo qui", è la riflessione tra lo sconforto e la rabbia di Massimo Cialente. "Le persone che sono morte all'Aquila erano convinte di vivere in una zona super sicura. Oggi non ci preoccupiamo della qualità quando compriamo una casa, e non sappiamo veramente dove abitiamo. Serve classificare gli edifici ed avere un piano pluriennale di controlli", insiste. "E tra tante schede tecniche giustamente obbligatorie, quella che manca è proprio quella sismica. Quello che succede è che poi i sindaci si trovano da soli con sciami sismici che durano ore e ore e non puoi certo evacuare un'intera città ogni volta",

All’indomani del terremoto che ha colpito il Centro Italia i giornali stranieri, inglesi soprattutto, puntano il dito contro il nostro Paese. Il Guardian polemizza sulle norme costruttive italiane, che sarebbero troppo permissive. Di opinione diversa il quotidiano I (ex Independent), che sottolinea i problemi geologici e prova a rassicurare i turisti britannici che continuano a venire in Italia. Mentre secondo il Times il nostro Paese “comincia solo ora” ad affrontare il problema delle case troppo vecchie e incapaci di sopportare le scosse. Ma è dal Mit di Boston che arrivano bordate contro l’Italia in fatto di prevenzione sismica: “Il Paese ha una vasta esperienza di terremoti, ma continua a soffrire più di altre nazioni sviluppate ogni volta che la terra trema”, scrive sulla rivista del Mit Michael Reilly. Nell’articolo Reilly sottolinea come la norme antisismiche arrivate negli anni Settanta in alcuni casi non siano state rispettate e che comunque l’Italia sconta un grave ritardo in tema di prevenzione sismica.
In Italia oltre la metà degli edifici è realizzata prima degli anni Settanta e oltre 2 milioni di edifici sono in stato “mediocre o pessimo” secondo Ance e Istat. Nelle aree a elevato rischio sismico ricadono poi
quasi 5 milioni di edifici che andrebbero in grandissima parte, secondo i tecnici per almeno il 70 per cento, messi in sicurezza. Ma i pochi spiccioli stanziati dallo Stato soltanto dopo il 2009 non bastano e in ogni caso sono stati spesi per pochissimi edifici pubblici.  
 



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