RESTITUIRE TRIESTE AL FUTURO -

AUTONOMI DALL' ITALIA MA CONNESSI CON IL MONDO - RESTITUIRE TRIESTE ALLA MITTELEUROPA - RESTITUIRE TRIESTE AL SUO FUTURO: CENTRALE IN EUROPA INVECE CHE PERIFERICA IN ITALIA -

martedì 3 gennaio 2017

IL PATRIOTTISMO (CON IL TURISMO) E' L' ULTIMO RIFUGIO DELLE CANAGLIE - IL TRADIMENTO DELLA "CLASSE DIRIGENTE" TRIESTINA ED IL DECLINO ECONOMICO E DEMOGRAFICO DI UNA CITTA' PORTUALE E PRODUTTIVA - TRIESTE HA BISOGNO DI UN "NEW DEAL" -

In ogni inizio d' anno vi sono gli articoli che annunciano le cose principali da fare per il futuro di Trieste.
Sul Piccolo si è espresso Morelli, abituale interprete degli umori del giornale e della sedicente "classe dirigente" di Trieste: secondo loro il futuro di Trieste sarà il turismo, specificatamente tramite l' urbanizzazione in chiave turistica di Porto Vecchio.

NON UNA PAROLA SU PORTO, LOGISTICA, INDUSTRIA, SERVIZI AVANZATI !

Una grave "amnesia" dei giornalisti triestini che è stata efficacemente rilevata da FAQ TRIESTE (clicca).


E' da anni che il "pensiero unico" della "èlite" triestina, propagandato dal Piccolo, trascura le attività produttive per concentrarsi sul turismo come se fosse la panacea per una città come Trieste che, malgrado tutto, ha ancora 200.000 abitanti.
Venezia che ne ha solo 55.000 ed è una meta turistica mondiale non riesce a vivere di turismo e punta con forza allo sviluppo portuale ed industriale, anche con una nuova Zona Franca a Marghera.


Trieste ha da decenni tutti i paramentri vitali negativi: forte calo demografico ed aumento dell' età media, calo di posti di lavoro e giovani che devono andar via per mancanza di lavoro e prospettive, meno del 9% del PIL locale da attività industriale e così via.

E questi continuano col mantra di "Porto Vecchio sdemanializzato e urbanizzato" e riempito di Musei come soluzione, quando è sempre più chiaro che invece rappresenta solo un grosso problema per gli alti costi certi che saranno a carico del Comune in bolletta e per l' assenza di investitori.

Trieste è stata più volte tradita dalla sua "classe dirigente" a cominciare dalle ottuse scelte nazionaliste, ammantate di "patriottismo", che un secolo fa hanno determinato il distacco dal suo entroterra economico e storico naturale dando così l' avvio alla decadenza.
Scelta poi rinnovata nel 1954 e giustificata da una predilezione per l' assistenzialismo e la dipendenza dalle mammelle della lupa romana.

Mai come allora fu evidente la verità delle parole pronunciate nel 1775 da Samuel Johnson: "Il patriottismo è l' ultimo rifugio delle canaglie".


Al "Patriottismo" prima si è affiancato l' oblio,

se non il disprezzo, per il Porto Franco della Mitteleuropa e per il regime doganale dei Punti Franchi, adesso si affianca anche il Turismo propagandato come panacea di tutti i mali: come se Trieste fosse Cortina d' Ampezzo o Lignano.


Come se i Musei, continuamente proposti per Porto Vecchio, fossero una prospettiva credibile ed efficace per superare l' avvitamento della nostra economia.

E' chiaro che il Turismo a Trieste può svilupparsi ancora e rappresentare un dessert ma certamente non potrà mai essere nè il primo, nè il secondo piatto del nutrimento per questa città affamata di lavoro vero e di qualità.

In questa palude della presunta "classe dirigente e politica" locale noi vediamo muoversi nella direzione giusta solo l' Autorità Portuale che pensa allo sviluppo del Porto Franco Internazionale ed anche all' utilizzo produttivo dei Punti Franchi con insediamenti industriali e di servizi, caldeggiando anche l' utilizzo dello strumento della fiscalità di vantaggio con una nuova No Tax Area.

Qui si gingillano con gli addobbi natalizi e ipotesi strampalate su Porto Vecchio mentre a Gorizia con il sindaco in testa si occupano di ottenere una Zona Franca per favorire insediamenti produttivi.

Il vero compito di quest' anno è far emergere un nuovo pensiero che veda il futuro di Trieste non in ipotesi fantaturistiche ma in realtà produttive con lo sviluppo del Porto Franco Internazionale anche come terminal della "Nuova Via della Seta" di Pechino e cerniera fra Oriente, Russia compresa, ed Occidente  con lo sviluppo di attività industriali e di servizi avanzati agevolati dal regime di Punto Franco e No Tax Area.

E di conseguenza agevolare l' emersione di una nuova classe dirigente capace di una nuova proiezione strategica.

Trieste ha bisogno di un "nuovo corso": un autentico "New Deal" e rinnovamento delle prospettive che tenga conto dei nuovi assetti geopolitici e non solo delle "piste ciclabili" e gli "incantevoli water front" di Morelli.


In questo ambito tenteremo di prendere delle iniziative, già nel primo mese dell' anno. 


Ecco il programma economico e politico della "classe dirigente" espresso sul Piccolo:
PORTO VECCHIO E TURISMO SFIDE DECISIVE PER TRIESTE
di ROBERTO MORELLI - Il Piccolo 2/1/2017

Un’avvertenza al lettore. Sta per leggere un commento che avrebbe potuto leggere (e forse lesse) due o tre anni fa, e potrebbe leggere (e forse leggerà) tra due o tre anni. Iniziando il nuovo anno e interrogandoci sui nodi da sciogliere per la città, non ne troviamo di molto diversi da quelli che furono e non ne prevediamo altri da quelli che saranno. I problemi, a Trieste non li risolviamo. Preferiamo lasciarli galleggiare, in attesa che si risolvano da sé e grati delle discussioni infinite che possono generare, in mezzo alle quali sguazziamo a meraviglia. Evitiamo quindi l’elenco delle cose da fare, già evidenti e note a chiunque (definire il futuro della Ferriera, sbrogliare il piano del traffico, rivitalizzare la zona industriale, eccetera), per concentrarci sui due punti chiave collegati tra loro: il porto vecchio e il crescente ruolo del turismo. Il pienone negli alberghi cittadini in queste vacanze natalizie non ha precedenti negli anni passati. In giornate una volta sonnacchiose, lo sciame di visitatori ha animato il centro e i ristoranti e portato un’aura da piccola capitale mitteleuropea, anziché da periferia dell’impero quale eravamo abituati a considerarci. È una felice combinazione di concause decennali: la scoperta di Trieste (prima per le gite scolastiche, poi per le famiglie) come simbolo e crocevia della storia del secolo scorso; la felice posizione geografica tra diverse anime, culture e architetture d’Europa; il fascino peculiare della città; e finanche la chiusura di mete un tempo molto gettonate, dall’Egitto alla Turchia. Il passaparola, che nell’era dei social media è il più potente strumento di marketing territoriale, ha fatto il resto. Trieste non sta facendo molto per attirare questo flusso: accade, punto. La città ha dato vita a quella che potremmo definire una preparazione spontanea: il proliferare di ristoranti e localini, che culminerà con l’apertura di Eataly tra quindici giorni, ha portato un’iniezione di vitalità un tempo inesistente, ben chiara a chi ricorda il “tutto chiuso” e le strade vuote degli anni Ottanta. Catene alberghiere come Starhotel e Hilton hanno investito o meditano d’investire. Il Parco del mare sembra finalmente sul punto di sbloccarsi. Stiamo diventando un’altra città. E non solo il settore della ristorazione, ma anche e soprattutto il commercio, così vitale per l’economia cittadina e oggi piegato dalla crisi, potrebbe ricavarne nuova e insperata linfa. In concreto ciò significa attrezzare la città a misura di visitatore, valorizzando la qualità mitteleuropea che ci caratterizza: investire nell’arredo urbano, completare la riqualificazione del centro, estendere la pedonalizzazione e migliorare le piste ciclabili. Creare percorsi visibili nel flusso d’informazioni, per agevolare un turista oggi sballottato tra musei troppo piccoli e troppo distanti tra San Giusto e Via Cumano. Usare meglio gli spazi culturali, a cominciare dal Salone degli Incanti, oggi depresso e semi-abbandonato tra sporadici eventi a casaccio e senza un filo conduttore. Il turismo può diventare una seria opportunità per Trieste. Ma deve trasformarsi da evento quasi casuale in strategia cittadina: ecco un primo e fondamentale obiettivo per il 2017. Inutile dire che il recupero del porto vecchio rappresenterà la vera svolta di questa nuova identità, oggi solamente abbozzata. L’iter sta procedendo con lentezza intollerabile: la città non ne sa più nulla, né sa se qualcuno sia al lavoro e a far cosa. Dopo che l’advisor Ernst& Young ha completato il suo piano (molto preliminare, molto propedeutico, molto generico) a cavallo della transizione tra i sindaci Cosolini e Dipiazza, è indispensabile dar vita a un progetto generale che eviti il rischio di procedere a spizzichi e bocconi e risulti sostenibile per i grandi investitori privati, senza i quali un disegno ambizioso sarebbe impossibile. Non sussistono problemi politici, poiché il consenso sul recupero è acquisito e la sdemanializzazione è legge. C’è però una quantità enorme di cose da fare su un’area priva persino dei servizi a rete. La regia compete al sindaco, ma una riconversione di tale ampiezza non è alla portata di una piccola amministrazione pubblica e richiede professionalità esterne (l’advisor precedente o altri, previa una gara). Altrimenti ne uscirà una cosa piccola ed eternamente incompleta. E tra un paio d’anni dovremo nuovamente scusarci con il lettore, nel propinargli da capo gli stessi temi irrisolti.



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